L’OdG della Toscana ha pubblicato sul suo sito un giusto post (qui) contro l’esercizio abusivo della nostra professione. Una piaga, però, oggi così ubiqua e tollerata da risultare ormai, pur con tutta la buona volontà ordinistica, quasi inarginabile.
L’Italia è piena di falsi giornalisti, di non giornalisti che si dichiarano giornalisti, di non giornalisti che vengono trattati come se lo fossero, di conferenze stampa a cui si invita e ove presenzia chiunque, di uffici stampa che gestiscono, coltivano, incoraggiano rapporti tra enti o imprese e non giornalisti, di siti o blog o pubblicazioni che si dichiarano “di informazione” ma su cui non scrive un solo giornalista, di associazioni tra falsi giornalisti. Ma tutto ciò passa quasi sotto silenzio, come se fosse (diventato) normale.
Non solo.
l’Italia è un paese in cui tutti parlano male (talvolta anche a ragione) dei giornalisti e tutti invocano l’abolizione dell’Ordine, ma poi fanno carte false per avere il famoso “tesserino” o per simulare di averlo o, almeno, per essere chiamati “giornalisti”. Per non parlare delle organizzazioni che rilasciano “patentini” facsimile di quelli dell’Odg e patacche analoghe, comunque ambitissime. Anche questo, però, gode di una certa omertà.
Perchè?
Semplice: perchè un troppo lungo lassismo nella tutela della professione da parte delle istituzioni (Ordine compreso), l’abbassamento delle soglie di accesso e di permanenza nella medesima, nonchè la conseguente, progressiva perdita di prestigio della professione stessa ha condotto l’opinione pubblica alla convinzione che non solo, per fare informazione, avere la qualifica di giornalista sia superfluo, ma che, per converso, sia tollerabile lasciare che del titolo venga fatto un uso “elastico”, consentendone l’utilizzo sia a chi legittimamente lo detiene, sia a chi vorrebbe detenerlo ma non ce l’ha, sia a chi, senza detenerlo, si comporta come se lo avesse e si dichiara anche giornalista, magari scrivendolo perfino sul biglietto da visita.
Ora, per favore, che nessuno avvii il vieto predicozzo sullo snobismo, la casta, la discriminazione, l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di espressione e tante altre belle sciocchezze sollevate a capocchia in mancanza di argomenti seri.
Nè la logica balzana dei tanti che dicono che “giornalista è chi lo fa“.
No, giornalista è chi lo è (e se lo fa male o senza rispettare le regola va buttato fuori dall’albo a pedate)
Chi lo fa senza esserlo, invece, esercita abusivamente la professione e usa abusivamente il correlato titolo.
Da nessun’altra parte, senza sollevare risate, si sente dire del resto che “carabiniere è chi lo fa“, “chirurgo è chi lo fa“, “ingegnere è chi lo fa“. Ogni qualifica professionale ha una sua ragione d’essere, ma quando si parla dei giornalisti, invece, un sacco di gente sembra prendere quella baggianata sul serio.
Non a caso, e chi mi legge lo sa bene, sono da sempre molto insofferente verso la presenza di non giornalisti agli appuntamenti riservati ai giornalisti. Non per snobismo o per difesa di presunti privilegi che sono tali solo nella fantasia di chi non sa di cosa parla. So anzi perfettamente che tra i non-colleghi, i quali a volte sono pure amici, ci sono spesso persone più preparate, scupolose e simpatiche dei colleghi giornalisti. Il punto è che gli appuntamenti per i giornalisti in quanto tali non esistono più. Tutto è per tutti e chiunque presenzia a tutto, perchè il fine non è fare informazione, ma dare visibilità mediatica. E in quest’ottica ogni medium è lecito.
Poi, però, i risultati di questa confusione si vedono. Notizie vere, notizie finte, notizie manipolate, reclami occulte e propaganda finiscono tutte nel medesimo calderone che appunto non mira certo a informare, bensì a manipolare l’opinione pubblica, a sollecitare mercati e consumi, a camuffare la fantasia da realtà, a fare marketing. Roba che la gente si beve d’un sol fiato, a dimostrazione che la confusione non è solo nel manico, ma anche nel lettore.
Anche sotto il profilo comportamentale (cioè non solo etico, ma proprio della buona creanza) i già maleducatissimi giornalisti vengono poi quasi sempre superati a destra da torme di sedicenti, millantatori, accaparratori, scroccatori, vispe terese.
Giorni fa ero davanti all’ingresso di un grande evento aperto al pubblico: al banco della biglietteria non c’era pressochè nessuno, ma a quello della stampa c’era una coda di decine di persone in attesa di ritirare l’accredito. Tutti giornalisti? No ovviamente, lo erano due su trenta, al massimo, tanto i colleghi li riconosci subito. Il resto erano sedicenti o imbucati col consenso del padrone di casa, il che rende il fenomeno anche più grottesco.
Eppure, quest’andazzo sembra andare bene a tutti tranne a me, a qualche altro vecchio brontolone e, si capisce, all’Odg. Il quale, però, è palesemente disarmato di fronte alla marea montante.
Gli italiani del resto si sono talmente abituati alla confusione dei ruoli che ormai non li distinguono più. Opacità totale. Perduti di vista gli interessi, non si coglie neppure il conflitto tra i medesimi.
Altro che abuso della professione, purtroppo. Siamo all’abuso della credulità di gente che pare contenta di essere abusata. Col fantasma di Vanna Marchi che aleggia per il sollucchero di tutti.
A questo punto vi chiederete quale sia la mia ricetta per risolvere il problema.
Beh, premesso che lo ritengo ormai pressochè insolubile, il che equivale a dire che la nostra professione è abolita di fatto, credo che, volendoci provare, l’unico modo sia dare un violentissimo colpo di freno. A tutto: tolleranza zero verso la sedicenza, la manica larga, il facile accesso o permanenza nell’albo, la clemenza verso mariuoli e mezzi mariuoli.
Forse non approderemo comunque a nulla, ma almeno un segnale di vita prima di sparire lo avremo dato.