PELLEGRINAGGIO ARTUSIANO 2014/1. Sulle tracce della disfida di Barletta, i pellegrini camminano. Ma gli resta la forza di osservare e di pensare, necessità assolute per dei giornalisti. Così il tempo che scorre lentamente consente di cogliere i nodi invisibili che legano luoghi e circostanze.

A parte le visioni mistiche legate alle lunghe percorrenze pedestri (l’altroieri 30 km, che però in dottrina si discute se non fossero 34), ieri 29, il terzo pellegrinaggio artusiano è stato finora più materiale che spirituale.
Risparmio la cronaca e i dettagli, per i quali rimando al blog ufficiale della spedizione (qui) e mi limito alle sensazioni generali.
C’erano due riferimenti geografici che incombevano su questa parte del cammino.
Uno è onnipresente all’orizzonte ed è il cono vulcanico del Vulture, che aiuta l’orientamento e l’individuazione dell’est e dell’ovest. Un altro è Castel del Monte, il castello dei castelli federiciani, che invece aleggia dappertutto ma non si vede mai (eppure da lì, guarda caso, si vede tutto). Salvo aver fatto capolino una volta sola, lontanissimo, sul fianco di una collina. Eppure, in qualche modo, qui tutto gli ruota intorno: storia, strade, economia, paesaggio e pure il vino, visto che la principale denominazione vinicola della zona si chiama come lui.
Nel mezzo, una Murgia ancora verdissima e tutta la bellezza della campagna pugliese nel pieno della sua esplosione primaverile. Arcinota, per carità. Ma che, se vista da vicino e osservata lentamente, camminando assume nuove sfumature. Non sempre prevedibili e niente affatto banali. Meno pittoresche, a volte. Oppure, come accade spesso, irte di riferimenti, coincidenze o segni del destino.
Storie di stratificata devozione, ad esempio.
La grotta carsica su cui è stato costruito nel 1650 il Santuario della Madonna del Sabato, ai piedi di Minervino, riporta ovunque il simbolo della conchiglia che è anche quello del pellegrinaggio (chi andava a Compostela tornava con una conchiglia, a riprova del fatto che aveva davvero raggiunto il mare, nello specifico l’Atlantico). Nel paese di Minervino soggiornò a lungo, di ritorno dalla Disfida, Pierre de Terrail, il cavalier Bayard, giudice della tenzone. E il nostro pellegrinaggio è dedicato proprio alla Disfida di Barletta. Non solo, ma pare sia stato appunto il Bayard a insegnare alle Clarisse che lo ospitavano i segreti della ricetta del Panetto, dolce locale che tutt’oggi (e anche di ciò i pellegrini artusiani si interessano) tengono alte le glorie della gastronomia locale. Opulenta, quasi barocca, è la statua dell’Arcangelo Michele che troneggia sull’altare ipogeo della grotta omonima, già romitorio e fonte d’acqua miracolosa, preceduto da uno scalone monumentale che scende nelle viscere della terra. Nel punto più profondo l’arcangelo più vicino al cielo.
Sacro e profano, guelfi e ghibellini, papato e impero, Federico II e Gregorio IX.
Pellegrinando c’è tempo pure per le reminiscenze. Andria si chiama Fidelis (come sa chiunque abbia scorso le classifiche calcistiche, visto che allo stesso modo si chiama la squadra locale) perchè fu l’unica delle città pugliesi a rimanergli fedele dopo la scomunica dell’irato pontefice a seguito della Crociata. Fu così che l’imperatore – da tutti conosciuto come lo stupor mundi, ma anche come puer Apuliae – fece sepellire qui due delle sue tre mogli.
Questo, e molto altro che ho dimenticato, ho ieri pensato alla vista del lontanissimo campanile della città, al km 24 circa della seconda tappa.
Mai avrei pensato di doverlo raggiungere, però.  E poi di dover scoprire che avevo sbagliato strada.