Anzichè bulgaro – come si è tentato che fosse – il risultato delle elezioni toscane dei giornalisti è stato solo militante: ha vinto il blocco egemone, ma l’opposizione fa gran passi avanti. Di argomenti e di numeri. Una cosa su cui il sistema dovrebbe riflettere.

Ieri in Toscana non è piovuto. O ha piovuto troppo poco. Così molti giornalisti, invece che andare a votare per l’Ordine, sono andati al mare. E il blocco degli organizzati (sia chiaro: non c’è nulla di male ad esserlo, basta non negarlo: staffette motorizzate, telefonate seriali, astuzie varie, mobilitazione anche fisica dei pensionati, blocchi di redazione, etc) ha avuto gioco facile nel prevalere sui cani sciolti, tra i quali il sottoscritto.
Un gioco tuttavia meno facile del previsto e anzi, a conti fatti, forse niente affatto facile.
Perchè, come si dice, i voti vanno non solo contati ma anche pesati (per i numeri, vedere qui).
E se sulla bilancia si mettono i risultati di ieri, ci si accorgerà che nell’apparente quasi-immobilismo di una regione anche giornalisticamente, oltre che politicamente, del tutto simile a se stessa, qualche bello scossone c’è stato. Chiamiamole crepe di avvertimento. Campanelli di allarme di cui chi guida la categoria dovrebbe ben tenere conto. Nella speranza che nel frattempo, considerato lo stato precomatoso in cui versa la professione, il sistema non venga giù tutto insieme, di botto, travolgendo presunti vinti e presunti vincitori.
Certo, tra i toscani non si è avuto l‘exploit che le liste di precari, freelance e autonomi hanno ottenuto altrove, come in Veneto (dove gli atipici – terremoto! – hanno preso la maggioranza del consiglio regionale e della delegazione al consiglio nazionale), ma per quelli “fuori dal giro”, gli indipendenti, aver insinuato il capolista Domenico Guarino all’interno del granitico blocco uscente e aver, ovunque, fortemente incrementato i consensi, accaparrandosi voti a decine, dove prima si contavano sulle dita di una mano, il risultato è non solo onorevole, ma sintomatico.
Le elezioni dei giornalisti sono elezioni a tutti gli effetti politiche, non una gara sportiva. Inutile quindi invocare, prima e dopo, il fair play. In politica non basta non essere ingenui. Ci vuole anche la struttura e chi ha vinto l’ha messa in campo tutta.
Da parte mia, non nutrivo accesi sentimenti e non ne nutro adesso. Nè ideologici, nè personali. Quindi non cambia molto. Ero realista e sapevo che gli spazi erano stretti.
Mi dispiace solo, in generale, che si sia perduta l’ennesima occasione, forse l’ultima, per affidare una più equa rappresentanza della categoria a chi, di questa categoria, è ormai la componente numericamente principale e sempre di più lo sarà in futuro.
La radice del problema, del resto, sta a monte. Forse addirittura in cima: un Ordine che elegge i suoi vertici non essendo capace di portare al voto più del 10% dei suoi iscritti è un ordine, eufemisticamente parlando, in declino. Ma la questione è più complessa di come sembra, perchè non si tratta di banale mancanza di appeal dell’istituzione verso i suoi membri, bensì di totale mancanza di senso di appartenenza di questi verso l’istituzione stessa.
La differenza? E’ enorme.
Se il giornalistificio, anzichè giornalisti, sforna patacche che attestano formalmente la qualifica di giornalista e la dà a persone che il giornalismo non sanno neppure che sia, perchè a loro il titolo serve solo ad essere appuntato sul petto nei giorni di festa, poi non ci si deve meravigliare che dell’OdG se ne freghino. E che a votare ci vadano i militanti. Così, in Toscana, con 200 voti sicuri controlli un Ordine di 5mila giornalisti, buona parte dei quali (come ovunque) tali solo di nome e in altra buona parte neutralizzati grazie a seggi posti in luoghi irraggiungibili rispetto alle loro residenze.
Così, però, si lascia sempre più nel pantano chi il lavoro lo fa per davvero.
Essendo noi causa del nostro male, piangiamo dunque noi stessi.