di URANO CUPISTI
1979 (cioè 40 anni fa!): il nostro torna dove ci sono più capi di bestiame che abitanti e, per questo, tutti passano dalla quarantena. Poi il viaggio: tosature per turisti, la terra di Sauron e degli Elfi, i geyser, i tikis, i kiwi…

 

Dopo l’atterraggio all’aeroporto internazionale di Aukland, proveniente da Tongatapu (Isole Tonga), l’aereo della Air New Zealand  fu dirottato su di una pista secondaria chiamata allora, quarantine run way (pista della quarantena).

A bordo tutti tranquilli vuoi perché la maggioranza era tongana e di conseguenza abituata  alla particolare attenzione degli uomini del Ministero dell’Agricoltura neozelandese, vuoi per viaggiatori come il sottoscritto sottoposto a questi necessari controlli già in altre occasioni. Un po’ meno da parte dei pochi turisti, decisamente impauriti.

Disinfestazione, sequestro e confisca di tutti gli oggetti tropicali come collane di fiori, opere in legno se non certificate con apposito timbro della autorità tongane, frutta, cibo in genere.

I neozelandesi a proteggere i loro allevamenti composti da ben 7milioni di capi tra bovini e ovini (dati del censimento 1979, anno del viaggio). E posso assicurare chi legge che dal finestrino di un  bus, nel tratto stradale che collega Aukland a Wellington, vale a dire la percorrenza dalla punta nord a quella sud dell’Isola del Nord, di pecore e bovini ne contai moltissimi.

Pecore, pecore, pecore fino al primo stop. Vale a dire presso una megafarm ad osservare “l’arte della tosatura manuale” in un movimento a catena mentre i miei compagni di viaggio, quasi tutti americani, davano sfogo alle loro polaroid per immortalare la loro presenza insieme alle pecore prima e dopo la tosatura. Immaginate oggi cosa accade  nel mondo dei selfie.

Movimento a catena: le pecore obbligate ad entrare in recinti sempre più stretti, prese da tre tosatori con tanto di cappello alla cowboy (o sheepboy?), “rapate” in pochi minuti con gesti e movimenti all’unisono e liberazione degli animali, nel medesimo istante, senza più un filo di lana.

Lasciammo i cowboy neozelandesi al loro lavoro (anche perché era arrivato un altro bus pieno di giapponesi) e richiamando con ripetuti colpi di clacson gli americani a lasciare la boutique aziendale dove stavano acquistando maglie e magliette di pura lana neozelandese fabbricate in Cina, riprendemmo il nostro viaggio verso sud.

Diciamo la verità: l’industria manifatturiera in quel periodo non era affatto sviluppata. La lana grezza veniva esportata (Cina e Inghilterra in primis) e non lavorata. Del resto basti pensare che i dati del censimento ricordato (1979) davano la popolazione dell’intera Nuova Zelanda intorno ai 4 milioni di abitanti. Come dire gli abitanti di Roma in un territorio quasi come l’Italia. Disoccupazione zero. C’era bisogno di aziende manifatturiere  ad inquinare?

Lo spettacolino turistico ma sotto alcuni aspetti  istruttivo, era terminato. Nel nostro imminente futuro non ci avrebbero aspettato  altre pecore ma i maori nel Parco di Rotorua: il loro centro culturale.

Montagne verdi, laghi colorati, foreste tropicali, le sue piscine caldissime, il vapore che sale dalle sorgenti termali, il fango che bolle e i potenti geyser che arrivano ad incredibili altezze. Come il Lady Knox, dove bisogna aspettare per vederlo esplodere alla sua massima potenza.

E poi la Champagne Pool, larga 65 metri dove le bolle di gas salgono in superficie a rappresentare un’enorme coppa di champagne. I colori che si notano, devo dire,  non hanno niente a che vedere con il famoso spumante. Verde all’arsenico dell’acqua, depositi di antimonio ai bordi, terreno bianco di silice oltre le acque. E non parliamo dell’odore di zolfo e di uova marce che impregna tutta l’area. Benvenuti  a Wai-o-tapu, uno dei luoghi sacri del popolo maori.

E poi i Tikis, i totem maori che segnano l’ingresso al Paepaekumana, i giardini di Rotorua, il Lago Verde, luogo di culto e proibito ai turisti (lo si può vedere da un piccolo promontorio nei pressi).

Infine Kiwi Land, dove visitare l’habitat dell’uccello dal becco lungo che esce solo di notte e vive durante il giorno in oscurità: il kiwi. Vietato fotografarli col flash, per evitare i lampi nocivi ai loro occhi.

La sera a riordinare quanto visto, a confrontarci, a raccontare storie e leggende come quella di Romeo e Gliulietta maori, dell’amore contrastato dalle loro famiglie, fuggiti sull’isola di Mokoaia nel centro del lago di Rotorua. Del resto questa leggenda è celebrata da una celebre canzone che, tutt’oggi, i maori cantano: Pokarekare Ana.

Era giunto il giorno del grande trekking, il Tongariro Crossing: percorrere i circa 20 km della traversata alpina di Tongariro nel Tongariro National Park. Una traversata vulcanica lungo i crateri del Monte Tongariro passando ai piedi del Ngauruhoe. Sette ore di trekking con zaino pesante carico di acqua da bere (nessuna sorgente potabile nella zona), anche su tratti nevosi in un paesaggio lunare fumante.

E pensare che questo paesaggio inconsapevolmente, senza sapere dove fosse, è stato ammirato dal mondo intero sugli schermi del cinema e teleschermi televisivi:  la terra di Sauron, Mordor, dove Padron Frodo e compagni camminano verso il Monte Fato (Ngauruhoe). E lì vicino la terra degli Elfi.

Padron Frodo non mi assomiglia per niente; anzi è bene che sappia che quei posti li ho calpestati prima io senza andare alla ricerca di nessun anello ma a vivere emozioni nel tempo!

Un moderno autobus con tutti i confort di allora mi “raccattò sfinito” e mi portò, dopo un lungo viaggio a Wellington.

Wellington, la capitale del paese, sorge all’estremità meridionale dell’Isola del Nord, sullo stretto di Cook che divide le due grandi isole che compongono la Nuova Zelanda. Con un centro urbano di dimensioni ridotte, facilmente visitabile in poco tempo,  è circondata da case di legno colorate adagiate sulle colline circostanti. È sufficiente prendere la funicolare rossa per ammirare la baia che la protegge. Sì perché Wellington mostra le spalle allo stretto e cerca di difendersi dai forti venti che lo agitano continuamente.

Il ritorno in aereo a Aukland, la città delle vele. Più di 1 milione di abitanti al momento del viaggio si presentò come una grande città modernissima. Ricordo di aver percorso Queen Street per raggiungere la famosa Sky Tower, così come si fa nel centro di New York, la prima volta che la visiti, percorrendo la Fifth Avenue per raggiungere l’Empire State Building ed ammirare la Grande Mela dall’alto.

Dall’alto della Sky Tower per godere di una vista panoramica del Viaduct Harbour, dove si trovano una miriade di piccoli e grandi yacht e il lungomare di Mission Bay Beach.

Questa era, nel 1979, la Nuova Zelanda: un paese moderno con scarsa densità abitativa, insieme di diverse culture, dai paesaggi incredibili, pieni di fascino. Raccontato e indicato come il paese dove abitare e vivere senza problemi. Denaro permettendo!