La BIT che si conclude oggi non si è rivelata diversa da quella degli ultimi anni, ma qualche motivo di interesse c’era. Peccato che i primi a non accorgersene siamo stati noi giornalisti. Per ridestare l’interesse dei quali, però, la fiera potrebbe fare qualcosa in più.

 

Ieri, dopo molte incertezze, ho dedicato la giornata alla Bit, la Borsa Internazionale del Turismo di Milano. Non ne ho persa una dal 1991, sebbene nel tempo la fiera abbia conosciuto una quasi inarrestabile decadenza commerciale e professionale, così come i motivi che spingevano la stampa di settore – o meglio quella di viaggio, non del trade – a frequentarla. Così, la Bit si è ridotta piano piano, per i giornalisti almeno, a una sorta di ciclica e un po’ triste opportunità di ritrovo per saluti e amarcord.

Dopo la visita non ho cambiato opinione, ma ho notato qualche differenza rispetto al passato.

E non mi riferisco all’atmosfera inusualmente vivace rispetto a certe recenti edizioni, nè alla mai interrotta tendenza a fungere da hub per presentazioni, conferenze stampa, passerelle politiche più o meno inutili. Nulla posso dire inoltre sull’entità delle transazioni commerciali e, più in generale, degli affari che possano essere stati conclusi, sebbene la sensazione fosse positiva.

Parlo invece di cose più sottili.

Tipo la, secondo alcuni inspiegabile, presenza, da un lato, dei rappresentanti e di offerte di destinazioni rese “difficili” dalla contingenza politica internazionale, dall’altro di destinazioni “minori” per dimensioni o avviamento sul mercato del turismo, ma molto agguerrite nell’approccio professionale, da un altro ancora dall’atteggiamento di molti colleghi.

I quali, al netto dell’età media che avanza e che, in un’evidente mancanza di ricambio generazionale, non aiuta ad alimentare la curiosità, mi sono parsi assai rinunciatari rispetto a qualsiasi idea di indagine, di approfondimento e perfino di teorizzazione di viaggi-reportage su cui, una volta, avremmo vagheggiato per settimane. A cominciare dalla voglia di capire proprio come e perchè paesi in apparenza off limits o quasi possano oggi essere visitabili. Voglia che in chi fa il nostro mestiere mi verrebbe da definire, come minimo, necessaria.

Per carità, il quadro del mondo editoriale del settore è sconfortante e tra non pochi aleggia ancora lo shock per la triplice, contemporanea e recentissima chiusura da parte di Urbano Cairo di storiche testate come Airone, Bell’Europa e In Viaggio. Il che equivale a dire la chiusura di tre pur teorici approdi di lavoro o committenti, coll’aggravante che, come qualcuno ha giustamente detto, i servizi da determinati luoghi “non si vendono“. Ossia nessuno li compra, li paga e tantomeno li pubblica.

Eppure, la rassegnazione generale unita alla quasi totale mancanza di domande su certi perchè mi sconcerta.

E mi chiedo come mai agli organizzatori della Bit non venga in mente, ad esempio, di facilitare i confronti diretti, pensati ad hoc e non semplicemente affidati come adesso all’iniziativa individuale, collocandoli in un calendario specifico, una sorta di ring, in cui andare a fondo su situazioni, strategie, tipologie di turismo e di viaggio in quei luoghi.

Credo che funzionerebbe e contribuirebbe a riaccendere certi interessi un po’ sopiti nella categoria, ridando linfa a tutto un flusso di informazioni che invece, oggi, di viaggio hanno sempre meno e tendono invece ad adeguarsi, diciamo pure ad appiattirsi, su un formato-catalogo che non porta (è il caso di dirlo, visto il tema) da nessuna parte.

Insomma, se di viaggi e turismo si parla ormai poco e male forse un po’ di colpa è pure nostra.