Ci sarebbe da buttarsi dalla finestra. O da morire da ridere. Possibile che qualcuno abbia davvero pensato a una misura “mensile” dell’equità? Qualcuno smentisca, please! A meno che, facendo 1+1 e ripensando che il 15 a Roma “ascoltano” solo i precari…
Ora si spiega tutto. O quasi.
Ecco perchè da un po’ tutto tace attorno alla questione dell’equo compenso, che fino a qualche giorno fa infuocava gli animi dei giornalisti e delle relative istituzioni: commissione vera, commissione-ombra, odg, fnsi, inpgi, fieg, ministeri e sottosegretariati vari.
Si vergognavano.
Imbarazzo, per non dire peggio. Voglia di nascondersi. O di fuga. Timore di picche e forconi.
Perchè se fosse vera la voce che un’occhiuta (e soprattutto orecchiuta) ombra ha captato giorni fa nell’ovattata atmosfera di una riunione pubblica uscire dalla bocca di un pezzo grosso dell’Ordine (non il presidente, precisiamolo), ci sarebbe da trasalire, da invadere Roma. Oppure da morire da ridere.
Qual è la voce?
Eccola, la riporto – purgata dei nomi e delle circostanze, visto che non l’ho potuta verificare, ma la fonte è degna di fede – testuale: “In occasione di un incontro organizzato da […] a […] su “ricongiungimenti” e formazione, il […], ben informato e molto vicino a […] ha sussurrato che l’equo compenso dovrebbe aggirarsi intorno ai 500 euro/mese. Da quali considerazioni o voci salta fuori questa cifra? Notizia buona, così-così, brutta? A me sembra il terzo caso“.
Dico, stiamo scherzando?
Sono sbalordito: o è una bufala colossale, come spero ardentemente (e allora chi ha parlato ha dileggiato i colleghi lì presenti, ma carnevale è lontano e l’argomento non è di quelli da farci burle), oppure c’è qualcosa di vero. E in tal caso occorre attivare il t.s.o. per chi ha avuto solo il genio di pensarla.
E’ infatti solare che, comunque la si pensi e qualunque sia l’idea di parametro a cui rifarsi per fissare l’equo compenso, il criterio dovrà essere unitario, nel senso di riferito all’unità: di tempo, di articolo, di retribuzione.
Stabilire, anzi solo concepire un equo compenso “mensile” sarebbe grottesco. Che vuol dire?
Se scrivo un articolo al mese, 500 euro sono un compenso accettabile (ma in ogni caso non ci campo). Se però ne scrivo 50, il valore del singolo pezzo sarebbe 10 euro, cioè più o meno come adesso per un sacco di gente. Dunque dove sarebbero l’equità e, prima ancora, la logica?
Per favore: Iacopino, Rossi, Camporese, Legnetti, almeno voi smentite!
A meno che…mumble mumble…oddio, è vero che al peggio non c’è mai fine e che spesso la fantasia supera la realtà, ma se fosse che qualche cervellone ha avuto la pensata de quo avendo in testa una sorta di “minimo inderogabile” concepito solo a beneficio di chi in effetti sta fisso in redazione o fa il collaboratore fisso? Cioè, in pratica, è abusivo o ha un rapporto continuativo con un unico committente?
In altre parole, per chi “autonomo” non lo è affatto, se non eventualmente pro forma?
In altre e più esplicite parole ancora: se per dare un equo ma finto stipendio (anzichè un contratto e uno stipendio veri) a chi è un falso autonomo, si fosse tentati di buttare a mare la questione dell’equo compenso per chi autonomo lo è realmente, cioè i liberi professionisti, alias freelance? In effetti certe “coincidenze” potrebbero far pensare. Ad esempio il fatto che il 15/7, alla prossima riunione della commissione, siano stati convocati (vedi qui), per essere “ascoltati”, solo i precari dei coordinamenti.
Poichè, come dissi anche qui tempo fa, a pensar male delle istituzioni giornalistiche spesso ci si azzecca, mi sa che devo cominciare a preoccuparmi…