Per il sovrapporsi di impegni, non ho potuto partecipare alla strombazzata riunione romana di ieri. Temevo che, se ci fossi andato, avrei finito per litigare. Letti i resoconti e visti i filmati, mi sa che sarebbe proprio finita così.

Tra i doveri – e anzi tra le necessità – del libero professionista che sa fare il suo mestiere c’è quella di avere sempre ben presente l’esigenza di tenere in equilibrio il rapporto costi/benefici. Tradotto: un lavoro deve produrre più di quello che costa, altrimenti è meglio fare i dilettanti, i volontari o i mantenuti, che poi in fondo è la stessa cosa.
E quindi ero fortemente incerto se partecipare all’annunciatissimo seminario sull’equo compenso organizzato ieri a Roma da Stampa Romana, l’articolazione laziale dell’Fnsi.
Le mie perplessità non dipendevano, nonostante le mie posizioni notoriamente critiche verso il sedicente sindacato unitario dei giornalisti, dal soggetto organizzatore, al quale riconosco viceversa il merito di aver preso l’iniziativa, ma dai dubbi sull’effettiva utilità finale dell’incontro: troppe volte mi sono ritrovato a sprecare tempo per vedere le solite e spesso poche facce a dire sempre le solite, magari sacrosante ma strasentite cose a gente incapace di ascoltarle e, quel che è peggio, di comprenderle.
Il mio tentennamento dipendeva pure dalla mancanza di volontà di sopportare il fastidio della consueta miscela di trombonismo/dabbenaggine che quasi sempre aleggia su questo tipo di riunioni.
Poi un impegno di lavoro ha fatto forzatamente dissipare le mie incertezze.
Ma la curiosità di sapere com’era andata è rimasta.
E dai resoconti privati e dalle documentazioni pubbliche (qui) che ho raccolto, ora non posso che compiacermi di aver evitato la faticosa e costosa spedizione nella capitale.
Mica per essermi rispamiato le pallosissime camarille politico-istituzionali, i confessati tatticismi e le inconfessabili riserve mentali della Federazione e dell’Inpgi sul tema de quo, il conclamato pisaladrismo tra sindacato dei giornalisti e sindacato degli editori, le abituali (e volute?) sovrapposizioni dialettiche di piani diversi, i finti equivoci, gli argomenti estratti dal cilindro a capocchia per confondere ulteriormente le idee ai già prevalentemente confusi colleghi su tariffe, tariffari, minimi e massimi, freelance veri e freelance finti, abusivi, cessioni del diritto d’autore, anime candide e todos caballeros. Tutta roba, va da sè, puntualmente emersa durante il dibattito.
Era pure previsto che nella costituenda commissione mista, che ormai in meno di due mesi dovrebbe individuare l’equo compenso, avrebbero seduto i vertici o le altissime gerarchie di Odg, Fnsi e Inpgi: un passo inevitabile a pensarci bene, considerati i costumi italiani e, diciamolo, anche l’imperdibile passerella che la circostanza offre in tempo di imminenti elezioni ordinistiche e di altrettanto imminenti rinnovi contrattuali.
Ma ok, va bene anche questo, siamo realisti.
No, quello che mi avrebbe fatto arrabbiare lì e anche dove mi trovo adesso è che a nessuno sembra essere venuto in mente che, a prescindere da chi poi, in quella commissione, fisicamente rappresenterà le parti in gioco, sarebbe necessario, prima, consultarsi, mettere a punto seriamente piani e strategie, circoscrivere la questione (meglio ancora se dopo averne compresi i termini), sviscerare i problemi in modo da mandare il delegato a discutere la faccenda con le idee chiare e un mandato preciso, anzichè essere il portatore di un mandato in bianco o delle sole idee proprie.
Ecco, a me non risulta che ciò sia accaduto. Da nessuna parte ho sentito menzionare pensatoi, laboratori, incontri o riunioni tra esperti (e non tra tromboni di carriera) finalizzati a affilare le armi o ad affinare il pensiero in vista della discussione sull’equo compenso.
Chè se poi, invece, questi incontri fossero avvenuti o stessero avvenendo, sarebbe anche peggio: perchè non essendone stato messo al corrente nessuno, dei tanti liberi professionisti che conosco e che davvero maneggiano la materia, vorrebbe dire che la cupola istituzionale continua a considerare la faccenda cosa sua e noi freelance dei poveri mentecatti incapaci di intendere e di volere, quindi bisognosi del consueto tutore coll’imprimatur istituzionale.
Il che, visti i precedenti, oltre che tragico è irresistibilmente comico.
Così, ieri, non solo la sorte ha voluto che utilizzassi più proficuamente il mio tempo, ma che realizzassi un concreto, piacevolissimo risparmio.
A spanne: 70 euro tra treno, caselli e benzina, 10 per un caffè e un mefitico panino al bar coi colleghi più nove ore di trasferta che, a 20 euro l’ora, farebbero 180 euro.
Totale: 260 euro. Ovvero il (davvero) equo compenso giornaliero per una giornata di lavoro di un giornalista libero professionista.
Il tutto senza che ancora la commissione esista e alla faccia di editori e sindacato.