…in cui anche la storia e la fortuna critica di un musicista celebrato vanno rinfrescate. Ed è un peccato che, nel giorno in cui compie tre quarti di secolo, ciò non accada. Forse è un’occasione sprecata.

 

Oggi è il compleanno di Neil Young e tutti lo festeggiano.

Giusto, sono 75.
Pochi più di lui rivestono nella musica un ruolo iconico, capace di mettere d’accordo il fan cieco e il rock-snob irriducibile. Young è un monumento.
Non leggo però molti approfondimenti sulla sua figura e sulla sua arte, sebbene sulla scena ne siano rimasti pochi capaci, al suo pari, di solcare tre generazioni restando sempre in prima linea, senza deluderne nessuna.
O, forse, chi lo ama e lo celebra sono, ovviamente con le dovute eccezioni, solo i sopravvissuti della prima, al massimo della seconda?
A leggere il tenore dei commenti, qualche sospetto ce l’ho.
E ho anche il dubbio, lo confesso con qualche rammarico, che alla fine la sostanziale grandezza di NY sia consistita nel restare per mezzo secolo lo stesso musicista, un po’ ruvido e un po’ idealista, degli anni ’70.
Ma è un reale merito o magari un limite? L’arco di una vita intera è compatibile con una sola – sebbene eroica, fertile, onesta, coerente, ininterrotta – stagione?
Forse anche per lui sarebbe venuto il momento di una pacata rilettura critica, meno militante, meno agiografica, più oggettiva.
Dalla quale il musicista potrebbe uscire addirittura ingigantito, ma finalmente fuori da una certa patina che comincia, mi vergogno un pochino a dirlo eppure è vero, a sapermi vagamente di stantio.
Lo afferma, a scanso di equivoci, uno che i suoi dischi li conosce, li ama e li ha praticamente tutti.
Anche la storia e la fortuna, però, ogni tanto vanno rinfrescate