All’Accademia dei Georgofili di Firenze è in corso, fino al 19 aprile, la mostra “Per descrivere il territorio: agronomi, cartografi, naturalisti, viaggiatori nella Toscana tra XVIII e XX secolo”, che aiuta a capire il senso, l’arte e lo scopo di “ritrarre” la ruralità.
Da un po’ di tempo di paesaggio si parla così tanto e così retoricamente che l’argomento rischia di diventare noioso.
Il perbenismo impera. E unito al conformismo e all’ignoranza della materia, genera mostri di banalità.
Il paesaggio è cosa per sua natura mutevole, soggetto com’è all’andamento del clima e delle attività umane.
A mio parere il punto quindi non è se e come “fermare” l’inarrestabile evoluzione naturale del paesaggio, ma casomai in che modo governare e assecondarne il mutamento, facendo sì che questo non subisca strappi nè soluzioni di continuità.
In ciò infatti consiste il vero rischio: sottoporre il paesaggio, mediante il ricorso ad una tecnologia troppo potente e invasiva o mediante mutamenti socioeconomici brutali, a variazioni troppo rapide, non metabolizzabili e perciò (almeno in una scala di tempo “umana”) irreversibili.
Bisogna intendersi, poi, su cosa vuol dire paesaggio. Perchè è evidente che un’idea puramente bucolica, come è quella prevalente, rappresenta un grande paraocchi concettuale e conduce dritti al diffuso equivoco di chi predica la cristallizzazione, o peggio la musealizzazione del paesaggio stesso, in una sorta di velleità ibernatoria che pretenderebbe di condannare qualcosa all’immobilità perenne solo perchè così l’abbiamo conosciuta.
Altra cosa e ulteriore è, ovviamente, opporsi alla cementificazione, espressa o più o meno surrettizia, che è da anni in corso in tutta la campagna italiana sotto forma di lottizzazioni, ville e villette, nani in giardino, fintorustico, pseudofattorie, stalle simulate, capannoni agricoli a foggia di futuro condominio e compagnia bella.
Occorre insomma, e questa è davvero una priorità, preservare la ruralità del paesaggio. Che poi è la sua naturalezza.
Visto in un’ottica meno estetica e più sociale, amministrativa ed economica, il paesaggio si chiama invece “territorio“. Espressione che fa giustamente orripilare chi ha a cuore la bellezza in sè, ma è indispensabile a chi quella bellezza la deve gestire, amministrando anche le attività che vi si svolgono dentro e sopra.
Il ponte ideale tra queste due visioni è quella che si può chiamare la rappresentazione, cioè la “descrizione”: che può essere tanto del paesaggio quanto del territorio. E può perfino far sì che le due cose, se non coincidere, possano quasi sovrapporsi. Confluire cioè in una descrizione, artistica se del territorio o tecnica se del paesaggio.
A illustrare e a comprendere meglio questa possibilità, in realtà non così peregrina come sembra, contribuisce ora una bellissima mostra in corso all’Accademia dei Georgofili, che resterà aperta fino al 19 aprile (da lunedì a venerdì, orario 15-18, ingresso libero): “Per descrivere il territorio: agronomi, cartografi, naturalisti, viaggiatori nella Toscana tra XVIII e XX secolo“.
Allestita con il consueto rigore scientifico dalla prestigiosa istituzione fiorentina, in collaborazione con l’Istituto Geografico Militare e la Fondazione Osservatorio Ximeniano, attraverso una vasta selezione di carte, stampe, vedute, cabrei, mappe e fotografie la mostra si apre appunto a ventaglio su, e dà conto di, tanti possibili modi di “vedere” il paesaggio. E quindi, di rappresentarlo in funzione delle diverse necessità: la conoscenza storica e geografica, la pianificazione agronomica, la bonifica e le grandi opere, la descrizione naturalistica, l’illustrazione documentaria, la tecnica cartografica, l’estimo, la rappresentazione letteraria.
Al centro di tutto, come in un teatro, lo straordinario territorio della campagna toscana, osservato in mostra passo dopo passo e luogo dopo luogo, non solo nel suo evolversi intrinseco, ma anche nel suo mutare di “visibilità” e quindi di restituzione grafica da parte dell’occhio umano.
Ne viene fuori un viaggio affascinante attraverso una campagna descritta nei secoli in tanti modi diversi e con tanti fini diversi, ma sempre minuziosamente, meticolosamente, puntigliosamente. Eppure mai freddamente.