Nella terra dei mille campanili, il contestato e ideologicissimo Piano di Indirizzo Territoriale sul paesaggio è riuscito a mettere d’accordo anche viticoltori e consorzi storicamente rivali. Riuniti ora in un duro documento comune.
Ci voleva un provvedimento autocratico, tortuoso e palesemente ideologico come il Pit, il Piano di Indirizzo Territoriale della Toscana (in pratica un documento di pianificazione dell’uso del suolo rurale) per riuscire nel miracolo di mettere d’accordo tutti, ma proprio tutti, i consorzi e i produttori di vino della regione più litigiosa d’Italia. E fargli mostrare i muscoli.
Si è svolta stamattina a Firenze l’attesa conferenza stampa durante la quale i rappresentanti delle organizzazioni dei viticoltori toscani hanno presentato il documento condiviso (per il testo integrale, qui) che critica duramente gli stessi presupposti teorici di un Pit definito “anacronistico e sbagliato“. Accompagnato da un dossier di 100 pagine contenente le osservazioni “di dettaglio” fatte dai singoli consorzi a proposito delle norme riguardanti le aree di loro specifica competenza.
A nulla sono valsi, insomma, i parziali passi indietro, i distinguo e i tentativi di mediazione (incluso quello della prima mattinata di oggi tra la Regione e i presidenti dei consorzi) susseguitisi nelle ultime settimane da parte del governatore Rossi e degli assessori all’agricoltura e al territorio, Salvadori e Marson, nel tentativo di smussare gli spigoli di uno scontro che ha avuto effetti anche mediaticamente deflagranti.
Ne dà un’idea chiara lo stesso incipit del comunicato stampa diffuso stamattina: “Nella lunga storia dei Consorzi toscani raramente si è raggiunta una così ampia unitarietà d’intenti, a dimostrazione del fatto che tutto il settore vitivinicolo toscano, senza distinzioni di sorta, condivide la medesima valutazione del Piano Paesaggistico e la medesima preoccupazione“, si legge.
Dalle righe traspaiono il disappunto e la contrarietà del mondo imprenditoriale vinicolo per un disegno di chiara ispirazione dirigistica: “Per molti aspetti – si legge ancora – è un Piano che non si limita a trattare, come dovrebbe, del paesaggio e della sua tutela in un contesto dinamico, ma piuttosto si spinge ad indicare anche il tipo di economia che vi si dovrebbe praticare, senza preoccuparsi della sua praticabilità e dei suoi effetti“. E “…Nel 2014 non si può seriamente pensare, come prevede in alcune parti il Piano, di ricostituire nelle nostre colline un paesaggio “agrosilvopastorale” quando l’assetto sociale che lo sorreggeva non esiste più da decenni“, si rincara.
E se i produttori di vino si scagliano contro chi, nel Pit, chiede addirittura di prevenire “l’espansione ingiustificata della cultura viticola”, da parte del restante mondo agricolo non mancano le preoccupazioni per una generale visione dell’agricoltura, e pertanto del paesaggio che essa genera, di natura a dir poco idealistica.
“Al Consiglio Regionale e al Presidente Rossi vogliamo ribadire – così si chiude il comunicato – quanto abbiamo già detto: ripensateci, prima che sia troppo tardi“.
Più che un appello pieno di speranza, pare una dichiarazione di guerra.
“Alla riunione di stamattina, tramite i due assessori, la Regione ci ha espresso molte rassicurazioni e garantito sostanziali aperture“, ci ha detto il direttore del Consorzio Chianti Classico, Giuseppe Liberatore. “Noi ne abbiamo preso atto volentieri, ma siamo rimasti nella nostra posizione abbiamo chiesto che alle parole seguano fatti e documenti scritti“. A proposito di cosa, precisamente? “Ad esempio di una chiara scansione tra le prescrizioni e gli indirizzi previsti dal Piano e anche un’azione incisiva presso le pubbliche amministrazioni allo scopo di chiarire ai funzionari i provvedimenti che, in base al Pit, devono e non devono adottare“.
Ci sono però tutte le premesse, come abbiamo già sottolineato in passato (ad esempio qui), e forse perfino i tornaconti elettorali affinchè la complessa questione della tutela del territorio e del paesaggio agrario finisca nel tritacarne della banalità e bruci sull’altare degli interessi contrapposti e degli scontri politico-elettorali che essa implica. E c’è il rischio che, sulle ali di quest’equivoco manicheo, sfugga all’opinione pubblica il fatto che, in un orizzonte rurale storicamente plasmato dall’uomo come quello toscano, è l’abbandono del suolo il primo nemico da combattere. Un abbandono prodotto, difficile negarlo, dalla ritirata dell’agricoltura. E cioè dall’oblio di un’intrinseca natura economica di cui la viticoltura è solo il vertice più visibile.