Ieri, su richiesta della consorte, mi fermo a un vivaio per acquistare piante da giardino.
Mi affidano a un tipo tarchiato, muto, dal volto scolpito e con un’aria da moglie di Aznavour (“tu sei seccata / che io ci sia…”).
Faccio buon viso e chiedo delle ortensie.
Sempre muto e con espressione lapidea, il tizio si incammina e, giunto al banco desiderato, sentenzia a mo’ di preavviso: “Hanno sofferto il freddo”.
Eufemismo: erano morte, proprio stecchite dal gelo, ma a prezzo pieno. Resto perplesso.
Per rompere il ghiaccio (appunto…), chiedo: “Ma ributteranno?”
Lui, con un tono da prendere o lasciare: “Boh, io ho queste”.
Sbalordito, glisso e passo ai gelsomini.
Stavolta metto le mani avanti: “Hanno sofferto il freddo anche loro?”, domando.
Lui, continuando a camminare senza rallentare né voltarsi: “Qualche settimana fa stavano meglio di certo”.
Per un attimo mi chiedo dove l’ho incontrato prima, per essergli così antipatico.
Arrivati ai gelsomini il tizio, sempre senza profferire verbo, ma emettendo in compenso un lungo sospiro di accondiscendenza, estrae una pianta dalla rastrelliera e me la piazza davanti al muso. È parecchio malconcia.
“Mi pare abbia sofferto anche questa”, osservo col tono più conciliante possibile.
Al che lui, sempre impassibile, non è che me ne fa vedere un’altra, o tenta di incoraggiarmi, o mi offre uno sconto, o mi dà un suggerimento. No. Semplicemente prende il gelsomino e, mentre lo rimette a posto, con tono spazientito dice: “Sai che si fa? Si fa così e tanti saluti”
Dopodiché, prima che io abbia il tempo di replicare o chiedere altro, si dilegua. Né buonasera, né grazie, né scusi, né mi dispiace. Se ne va e basta.
L’ortensia è l’anima del commercio.
Comunque volevo dirvi che da ieri ho cambiato vivaista.