E’ morta oggi a Londra. Non aveva ancora 28 anni. Ora cominciano le inevitabili beatificazioni. Ma resta sospeso il giudizio critico su un’artista che ha bruciato troppo in fretta un talento di cui era complice e traditrice al tempo stesso.

Soundtrack: I heard it through grapevine (Amy Winehouse & Paul Weller)

I “coccodrilli”, c’è da scommetterci, erano pronti da tempo. E domani ce li potremo leggere tutti, in un cocktail di celebrazioni, lacrime e retorica tanto simile a quelli, ben più alcolici, che con tanti eccessi hanno condotto precocemente alla tomba Amy Winehouse, morta oggi a Londra. Così come un cocktail era l’insieme di fattori, tanto sixties, che avevano portato alla celebrità la spigolosa artista britannica: talento, sregolatezza, prime pagine, scollature generose, gossip e una gran voce non sempre valorizzata dal materiale messole a disposizione in un music biz in cui l’apparenza ha ormai il fatale sopravvento su tutto il resto.
Aveva 28 anni, Amy Winehouse. Ed ora ha davanti a sé tutti i crismi per entrare nel mito.
Cantante idolatrata, ma in fondo poco compresa e forse perfino poco coltivata, ci lascia sepolta dai cascami del suo personaggio, spesso fastidiosamente glamour e a volte ingabbiato in un mainstream musicale destinato con ogni probabilità a starle stretto, ma con il quale sapeva e forse voleva convivere, per cavalcare fino in fondo la propria epopea.
Certamente nemmeno lei, però, pensava che quell’epopea sarebbe finita così in fretta. Nonostante le voci, verosimilmente destinate a restare tali, che la sua morte sia il frutto di un suicidio e non di una tragica fatalità. Overdose di droga, unita a una bomba alcolica. Chissà fino a che punto cercata, voluta, subita. Ma destinato in ogni caso a fungere da formidabile volano mediatico per una figura che nei media i sguazzava da sempre.
Per mettere a fuoco il giudizio artistico su un’incompiuta così macroscopica come è stata Amy Winehouse ci vorranno però parecchi anni e molta ponderazione. Occorrerà lasciar sedimentare l’emozione collettiva per la precoce scomparsa e la lunga scia commerciale che ne seguirà, con probabile appendice di incisioni inedite e rivelazioni di ogni tipo. Troppa roba per un’artista che in fondo lascia solo due album incisi in otto anni di carriera e una manciata di singoli di successo.
La sua stella ha brillato molto intensamente per un breve tempo. Difficile, oggi, dire se si sia spenta perchè aveva bruciato troppo in fretta tutta l’energia di cui era in possesso o se invece la sua vita sia implosa, schiacciata sotto suo stesso insopportabile peso.
Questa era Amy Winehouse. Prendiamola per ciò che fu. Il resto, per ora, lasciamolo ai necrofori e ai mercanti di musica.