Non basta puntare il dito sui pur innegabili luoghi comuni e sugli arcinoti punti deboli della nostra comunicazione turistica. Né denunciarne l’autoreferenziale deriva “politica”. Così al Buy Tourism Online di Firenze l’interessante dibattito pubblico dell’altro giorno sulla scarsa “mira” della propaganda territoriale nostrana si è trasformato in un’occasione mancata. Con tante scontate diagnosi, ma poche cure.
Il titolo del convegno della BTO fiorentina (Buy Tourism Online), appena conclusasi, dedicato all’efficacia delle campagne di marketing territoriale messe in campo dalle diverse regioni italiane, era senza dubbio brillante: “Il cecchino miope – La comunicazione del territorio come autocelebrazione”. Dove il cecchino si riferiva alle azioni realizzate, sempre immancabilmente (almeno a parole) “mirate”. E il miope si riferiva invece alla scarsa mira del “tiratore” e quindi alla frequenza dei bersagli mancati di tante costosissime e spesso pompatissime iniziative propagandistiche.
Peccato che, come si suol dire, tra il dire il fare ci sia di mezzo il mare. E che la tavola rotonda ideata dal creativo (nonché relatore) Andrea Ruggeri e condotta da Roberta Milano, docente al master in web marketing turistico dell’Università di Savona, sia stata più che altro una deludente esposizione di luoghi comuni, con qualche conflitto di interessi e certi ammiccamenti compiacenti più o meno fastidiosi. Colpa forse di un parterre male assortito, di certi condizionamenti dettati dalla geopolitica o, chissà, della reale mancanza di volontà di affondare la lama in uno dei bubboni più putrescenti del sistema turistico nazionale: la (sovrap)produzione, da parte di enti locali, apt, uffici vari di materiale promozionale (portali, siti internet, brochure, pubblicazioni) scoordinato, scadente, inutile, senza capo né coda, autoreferenziale e, talvolta, addirittura clientelare. Celebrazioni del banale con conseguente spreco di denaro, l’ovvia mancanza di risultati ed effetti addirittura controproducenti.
Un vero peccato, insomma, perché la gente era tanta e le aspettative altrettanto elevate.
Ma non basta, per rendere concreto il dibattito, infarcirlo di inneggiamenti politicamente corretti (non se ne può più degli applausi sollecitati fingendo di indignarsi per il solito culo femminile in primo piano), continue punzecchiature antigovernative ad usum populi e facili riferimenti al ministro Brambilla. Accusandolo peraltro di fare ciò che quasi tutti gli altri (compresi alcuni dei relatori) fanno o hanno fatto, ovvero un lavoro raffazzonato, commerciale, poco originale, riciclato, improvvisato, di facciata, spesso progettato unicamente per dare visibilità politica (e locale) al committente anziché appeal turistico alla destinazione. Spiacevole, ad esempio, sentir pontificare il dalemiano ex assessore-meteora al turismo al comune di Napoli in era “monnezza 1”, Claudio Velardi, con una concione generalista dal sapore vagamente autoassolutorio (“bisogna sfruttare le nostre debolezze per fare marketing”, “la realtà è di frequente più veloce dei tempi di realizzazione dei progetti, quindi spesso sul piano istituzionale non c’è nulla da fare, quando ero a Napoli è andata così”). Spiacevole anche ascoltare da un altro creativo celebre come Paolo Iabichino la solita retorica lamentatorio-catastrofistica: “Se l’Italia è scesa da 6° al 12° posto della classifica mondiale delle destinazioni turistiche è perché è peggiorata l’immagine generale del nostro paese e non solo il turismo”. O vedersi proporre come scoperte copernicane delle evidenze degne di Lapalisse: “Occorre sfatare il mito della separazione tra online e offline a favore di una strategia complessiva coerente, esprimere identità nelle differenze, restituire l’esperienza, agire dal basso, mettersi in ascolto di storie e persone indigene, creare uno spazio vitale per le conversazioni”.
Né è risultata particolarmente rivelatrice l’affermazione che quello in questione non è un problema di professionalità, bensì “politico”. Bella scoperta. Oltre che politico, “culturale” aggiungerei io. Perchè la miopia dei committenti è dettata spesso sono solo dalla spasmodica ricerca di un proscenio personale (cosa di per sè, in teoria, non incompatibile con il varo di campagne comunque efficaci), ma dal ferale intreccio tra questo e l’assoluta mancanza di conoscenza della materia de quo, frutto di provincialismo cronico e di scarsissima competenza.
Sia chiaro: il tema è complesso e non ci si poteva certo aspettare che fosse un convegno a far sbocciare soluzioni.
Ma, in una manifestazione che si svolge a Firenze, patrocinata e sponsorizzata dalla Regione Toscana, sentirsi dire che l’unica campagna di marketing territoriale efficace e ben fatta è, tra tutte le regioni italiane, quella di “Voglio vivere così” lanciata l’anno scorso dalla Toscana stessa (e per di più già pesantemente “corretta” a distanza di dodici mesi, segno che qualcosa non andava), non rende il tutto troppo credibile.
A dimostrazione che, in effetti, la questione è sempre molto “politica”.