Quando ero in terza elementare, per evitare casini, durante l’intervallo ci facevano restare in classe e ci mandavano in bagno a gruppetti di quattro.
La gara, quindi, era a chi “la faceva” e rientrava tra i banchi per primo.
Onde assicurarsi la vittoria c’era quindi chi, come me, nascosto dal grembiule apriva con ampio anticipo la cerniera dei pantaloni. E chi invece, più masochisticamente, “espletava” a metà pur di impiegare meno tempo, riservandosi una seconda manche durante la lezione.
Tutti, comunque, quando la campanella stava per suonare, stavamo semiaccucciati ai posti di partenza, con la gamba già fuori dal banco, per scattare subito, al minimo segnale di via da parte della maestra.
Mezzo secolo dopo mi compiaccio di constatare che, in aereo, i passeggeri ingaggiano più o meno la stessa gara, ma per scendere. Forse nel malcelato timore di restare chiusi a bordo ed essere riportati indietro, o di perdere il bus per l’aeroporto.
Non appena l’aviogetto tocca terra infatti, e a volte anche qualche attimo prima, loro si slacciano le cinture di sicurezza e balzano in piedi per afferrare il bagaglio a mano sulla cappelliera, casomai qualcuno glielo rubasse, incuranti dei messaggi del comandante e dei richiami delle hostess. Spesso, forse apposta, fanno anche precipitare sulla testa degli avversari zaini, cappotti e souvenir presi al duty free, bottiglie di whisky incluse.
Dopodiché, sgomitando e spintonando, guadagnano l’agognato posto verso l’uscita accalcandosi in piedi in corridoio, con attese medie di mezz’ora e goffe posture contorsionistiche, prima che vengano aperte le gabbie, ovvero gli sportelli, e mentre l’aereo ancora rulla sulla pista. Chi è intrappolato tra i sedili quando la coda si è già formata deve, come durante gli ingorghi in città, inserirsi di forza o sperare che un’anima buona gli lasci la via, altrimenti scenderà (se scenderà) per ultimo. Un’umiliazione insopportabile.
Nelle more, intanto, centinaia di dita spippolano e decine di bocche berciano nei cellulari per avvertire tempestivamente casa, qualora mammà stesse in pensiero, che sono sì felicemente atterrati ma che, inspiegabilmente trattenuti dagli steward-carcerieri, stanno volonterosamente tentando di scendere.
Sempre che, si capisce, per un attimo di ritardo il bus non li abbandoni, raminghi, sulla pista, destinandoli a una sorte ignota.
Quindi: evviva le minzioni elementari.
