Fallisce (ma va?) il tentativo della commissione dell’Odg di trovare una proposta unanime da sottoporre al Consiglio Nazionale e poi al Ministro. Morale: tutto resterà com’era (forse). Traduzione: abbiamo perso l’ultima corsa e ora siamo fritti.
Sono in molti, nell’ambiente, a sorridere del frequente ping pong che, sui rispettivi blog, io e Antonello Antonelli ci scambiamo a proposito delle questioni che investono la professione. Senza capire, i sorridenti, che tra noi non c’è alcuna sincronizzazione nè coordinamento, ma una semplice complementarità: lui è sempre molto ben informato, io sempre molto realistico (secondo alcuni, pessimista) quando si tratta di prevedere in anticipo le poco gaie notizie che il collega tempestivamente annuncia una volta divenute ufficiali.
L’ultima è odierna e riguarda lo psicodramma del goffo tentativo di autoriforma dell’Ordine dei Giornalisti, fallito ieri provando ad aggirare le forche caudine del 12 agosto. Data in cui, per effetto del decreto salva-Italia, verranno recepite nel nostro ordinamento, e quindi entreranno in vigore, una serie di direttive Ue tra le quali quella sugli ordini professionali, secondo la quale solo chi ha superato un esame di stato potrà accedere agli ordini medesimi. E’ la norma, per capirsi, che per mesi ha tenuto col fiato sospeso sia i pubblicisti che gli aspiranti tali (all’elenco si accede infatti senza esame alcuno), fino a far temere e vociferare di una “abolizione” della stessa categoria.
Non sto qui a rivangare le questioni di caprina lana giuridica che ruotano attorno alla faccenda (da me ampiamente in precedenza trattata qui, qui e qui), nè le conseguenze pratiche del no-contest emerso dalla commissione nominata dall’Ordine per redigere una proposta da affidare, in extremis, al Consiglio Nazionale (basta leggersi l’esauriente sintesi di Antonelli riportata qui, poco nobili motivazioni incluse).
Mi limito a dire di dubitare fortissimamente che norme nazionali, come quelle della legge 69 del 1963 sull’OdG, possano derogare alle direttive Ue che, in base al Trattato di Roma, sono gerarchicamente superiori e soggette non all’approvazione, ma al semplice recepimento da parte dei governi.
Voglio invece richiamare con forza l’attenzione sul colossale treno che la categoria dei giornalisti italiani ha, nella circostanza, tafazzianamente perduto. Era un’occasione irripetibile per dare noi, con ampia autonomia almeno strategica, una svolta decisiva a un mondo, il nostro, in caduta libera di credibilità, prestigio, autorevolezza, organizzazione, professionalità e funzione.
Da decenni infatti i giornalisti lamentano l’obsolescenza della legge professionale (con la famosa, anacronistica dicotomia professionisti-pubblicisti, esame e non esame, etc) e ne invocano la riforma dal Parlamento. Un Parlamento cronicamente disinteressato, a cui quindi è stato finora facile e giusto addossare tutte le colpe e presso il quale giace in effetti, inevaso, più di un progetto di legge.
Nel frattempo l’Ordine, per effetto della combinazione perversa di lassismo, nuove tecnologie e relativa trasformazione del mercato editoriale, diritti acquisiti, giochi di correnti e di potere, miserie e miopie varie, si è trasformato nel giornastificio che conosciamo: cioè un leviatano che, vittima di se stesso, non riesce più a governare nè la massa crescente di nuovi illusi, spesso senza arte nè parte, fregiati di “tesserino”, nè i professionisti, nè i professionali. Todos caballeros e tutti al macello.
Ma, colpo di scena: prima Tremonti e dopo Monti, col famoso decreto e la necessità di adeguarsi all’Ue, aprono le porte a un insperato spiraglio per l’autoriforma dell’Odg. Autoriforma affidata appunto, almeno nella parte strutturale e propositiva, ai giornalisti stessi attraverso il loro organo istituzionale. Con il solo limite di arrivare a formulare un disegno organico e degno di essere discusso con il ministro della Giustizia in tempi ragionevoli per essere messo a punto, nonchè approvato, entro il fatidico 12 agosto 2012.
E invece, eccoci qua: i saggi non si mettono d’accordo e l’opportunità sfuma irrimediabilmente.
Sia chiaro: non è vero che questa fosse una scadenza tecnicamente tassativa per fare la riforma. Si tratta solo della scadenza per l’adeguamento alle direttive comunitarie in materia di accesso agli ordini professionali.
Ma non nascondiamoci dietro a un dito: poteva esistere un’occasione più ghiotta di questa non solo per tracciare una riforma realmente adeguata alla nostra professione, e non solo nei tempi brevi resi possibili dalla formale deadline agostana, ma soprattutto per fare noi giornalisti, diretti interessati e unici reali conoscitori dei problemi che ci riguardano, quello che i parlamentari non hanno saputo fare in decenni?
Insomma: potevamo fare noi, relativamente alla svelta, quello che è ormai inderogabile e che in quasi mezzo secolo non c’era stato verso di fare.
Ebbene, incredibile dictu (incredibile per chi non conosce i bassifondi della categoria e della sua organizzazione, beninteso), il treno è stato perso.
Prima con uno stucchevole minuetto, durato sei mesi, di divieti incrociati, giochi di corrente e esercizi di potere in sede di Consiglio Nazionale. E poi anche all’ultimo tuffo, con questa contestatissima “commissione di saggi” che avrebbe dovuto, entro ieri, elaborare “all’unanimità” una proposta da sottoporre poi al CN convocato ad hoc a fine luglio.
Insomma, siamo rimasti al palo.
Il treno della salvezza è un ormai puntolino all’orizzonte, ormai irraggiungibile. Hai voglia a correre o a promettere rimonte. Noi siamo qui, con la marea che sale, l’acqua alla gola e senza nemmeno il salvagente per galleggiare.
Dal palazzo arrivano messaggi grottescamente rassicuranti tendenti a far credere che “tranquilli, non cambia nulla“. Appunto. Non lo metto in dubbio, lo so anch’io che non cambia nulla. Il punto è proprio questo: che qualcosa, invece, doveva cambiare e l’occasione era a portata di mano. Non può certo suonare come una consolazione, quindi, il fallimento della commissione. Anzi: sull’orlo del precipizio eravamo e lì siamo ancora. Ma si è perso l’ultimo treno, che ci sarebbe da rallegrarsi?
Ecco, questo è il quadro.
Quindi scenderemo nel gorgo muti. E potremo solo ringraziare noi stessi.