Viaggio attorno a un equivoco che spesso confonde, fintotontamente, i fattori della professione, facendo credere che essere esperti di qualcosa sia sufficiente per fare informazione sulla cosa medesima. Abbaglio: il giornalismo ha i suoi fondamentali dai quali non si può prescindere, indipendentemente da ciò di cui poi in concreto ci si occupa.
C’è un vezzoso e vizioso equivoco che aleggia, forse abilmente alimentato, nell’ambiente dell’informazione e di ciò che le ruota attorno.
“In ogni settore ci sono appassionati, gente comune, blogger – si dice in genere – molto più competenti dei giornalisti che abitualmente se ne occupano“.
Embè? Quale sarebbe la copernicana scoperta?
Probabilmente è una cosa vera. Anzi, è vera di sicuro. Del resto, la categoria giornalistica non brilla per cultura, nè generale e nè specifica.
Ma il punto è davvero questo?
Cioè: il punto è la “competenza” del giornalista? O il punto non è, piuttosto e ben prima, che il giornalista sappia innanzitutto fare bene il proprio mestiere, requisito senza il quale non c’è informazione che tenga?
Spieghiamoci.
Quella del giornalista è una professione e l’acquisizione della qualifica comporta l’accertamento della capacità professionale del candidato. Ovverosia dell’acquisita padronanza da parte sua di quelle nozioni ed esperienze minime indispensabili per mettere qualcuno in grado di svolgere correttamente la professione medesima. Un insieme di conoscenze tecnico-teorico-pratiche, quindi, che prescindono da tutto il resto e includono il metodo di lavoro, la deontologia, i valori-cardine, la funzione sociale del mestiere di giornalista e, perchè no, grammatica e uso della lingua.
La “competenza” nei singoli campi dei quali poi il giornalista stesso si occupa o andrà a occuparsi è certamente importante, ma viene molto, molto dopo. Non è, nè dev’essere, il primo o tantomeno il solo requisito che gli si chiede. La competenza si può acquisire, la professionalità di base invece non può essere demandata a un momento successivo: è necessario ci sia subito, a prescindere da qualsiasi specializzazione, e rimanga per sempre.
Questo vale per tutte le professioni, giornalisti compresi, ma per questi ultimi l’esigenza è perfino più forte che per le altre, perchè essi hanno in mano l’informazione, una cosa delicatissima.
Uno dei principi fondamentali del giornalismo, ad esempio, è il dovere della consapevolezza di non sapere. Della propria latente incompetenza, insomma. Che si traduce nel diritto-dovere di porsi domande, verificare, controllare, approfondire. In ciò consiste, innanzitutto, l’indispensabile professionalità del giornalista. Un altro principio è quello del diritto-dovere dell’imparzialità: ascoltare sempre tutte le campane, coltivare i dubbi, confrontare le fonti, spogliarsi delle proprie simpatie e dei propri pregiudizi nel nome della ricerca della verità. Si tratta di norme deontologiche, cogenti, controllate dall’Odg, non di semplici comandamenti etici validi per tutti e privi di effettiva sanzione.
Se così non fosse, qualunque esperto di qualcosa potrebbe fare il giornalista in quel campo. E invece sono mestieri diversi.
Ma ciò sfugge ai buonisti del giornalismo, agli ingenui o a chi, maliziosamente, fa finta di non capire.
Confondere i giornalisti con gli “esperti” è come quando si mette un fucile in mano a qualcuno: la prima cosa da fare non è accertare se ha buona mira, ma che sappia maneggiarlo e che se sia dotato di autocontrollo, per evitare il rischio che possa far male ad altri. O è come quando si rilascia una patente: guidare veloci e disinvolti è importante, ma conoscere i fondamentali della guida, della segnaletica, del codice della strada, della prudenza e della meccanica è ben più necessario che essere nuovi Schumacher.
Sarà perchè sono vecchio di questo mestiere e perchè ho avuto buoni maestri, ma a me, lo confesso, queste cose appaiono solari.
Poi scopri invece che ci sono tanti, anche colleghi con la tua stessa anzianità di servizio, che in merito hanno le idee confuse, invertono le priorità, mescolano i piani della professione, scambiano i giornalisti con gli esperti e viceversa.
E trovi quanto tutto ciò sia sconfortante, ma che spieghi anche parecchie cose.
PS: naturalmente ci sarà chi osserverà, con ragione, che ci sono un sacco di giornalisti che non sanno nemmeno fare i giornalisti. Verissimo. Ma questo è un altro (serio) problema, che non c’entra nulla con l’equivoco della competenza.