L’evento che a Cortona cerca di coniugare la cucina stellata col vino-simbolo del territorio (ma l’identità è un’altra cosa) paga scelte strategico-mediatiche poco chiare e un’organizzazione incerta. Peccato.

 

La vita di un giornalista è costellata di circostanze nelle quali ti trovi coinvolto, ma di cui non comprendi fino in fondo il senso. Una di queste è Chianina & Syrah, l’evento di Cortona dedicato a vino e gastronomia, conclusosi pochi giorni orsono. E dove, alla fine, la domanda – al di là delle questioni strettamente organizzative e giornalistiche, di cui dirò poi – è sempre la stessa: da che parte si vuole andare?

Anche stavolta infatti la mia partecipazione si è rivelata quasi inutile, causa mancanza di condizioni minime indispensabili tanto per assaggiare i vini che per approfondire la conoscenza dei produttori o gli chef coinvolti.

Ed è un peccato, perché l’idea di trasformare la città toscana in una sorta di hub attorno al quale far ruotare la produzione locale, nazionale e internazionale di questo vitigno a Cortona così identitario (non troppo in verità, a giudicare dalle degustazioni, ma pure di questo dirò dopo) sarebbe più che buona. E meritevole di ben altre strategie. La manifestazione è invece preda di  contraddizioni ormai croniche. Provo ad elencarle: non per fare critiche gratuite, ma per spiegare dove sia possibile migliorare.

Prima domanda: sono ristorazione e cibo (Chianina) o è il vino (Syrah) a trainare tutto? L’impressione è che, nell’insieme, l’elemento vinicolo finisca comunque in secondo piano. Scelta legittima, per carità, ma mi chiedo quanto sensata: è logico tenere insieme due asset così divergenti, che si offuscano a vicenda?

E poi: il territorio dov’è? Chianina & Syrah fa sì leva sui prodotti del comprensorio, ma è totalmente “cortonacentrico”, mettendo in ombra tutto il resto. Allargare il focus sarebbe quantomai opportuno.

La sovrapposizione non giova nemmeno sotto il profilo mediatico: l’attenzione non si focalizza. E non giova la coesistenza di pubblico e stampa, che finiscono per intralciarsi e condizionarsi a vicenda, con danno comune.

Passiamo alle questioni più strettamente giornalistiche e organizzative, dicendo subito che la pur apprezzabile buona volontà di tanta gente che lì si presta e si adopera (non so se a pagamento o meno) non è sufficiente alla bisogna e che, in queste cose, la mancanza di professionalità si paga cara. Senza un ufficio stampa che conosca le esigenze dei media e ne agevoli il lavoro (desk, parcheggi, materiali, etc) si va poco lontano. Il preaccredito non serve, se poi nella metà dei casi il tuo nome non risulta sulla lista, con le lungaggini conseguenti. L’apertura di sole sei ore della sala degli assaggi – dove, va detto, i sommelier si sono prodigati, riuscendoci, per dare il miglior servizio – interrotti da una pausa pranzo “obbligatoria” durata ben oltre il previsto, con la sorpresa finale della chiusura anticipata di sessanta minuti “perchè dopo c’è un altro evento” (sic), ha prodotto il risultato che si sono potuti assaggiare meno della metà dei 114 campioni presenti, con una fretta che certo non ha aiutato la comprensione.

Dopodichè, secondo gli organizzatori, il mondo si divideva in due: quello di chi, senza un tetto sulla testa e pur col tasso alcolemico conseguente a decine di assaggi, non aveva alternative che mettersi in macchina e farsi ore di viaggio per rientrare, e quello di chi, ospitato, poteva tornare in hotel, scrivere, riposarsi, cambiarsi per la “cena di gala” a invito e partecipare il giorno dopo alle varie masterclass, con criteri di selezione a dir poco incomprensibili. Così, alla fine, molti colleghi hanno rinunciato a partecipare a Chianina & Syrah ed altri sono ripartiti scontenti e delusi. Da parte dell’evento, mi pare un grave autogol.

Resta da dire, volutamente per ultimi, dei vini in sé: i 39 Syrah d’Italia, 36 Syrah del mondo e 39 Syrah di Cortona (tra doc e Igt Toscana) all’assaggio. Questi ultimi, però, in rappresentanza di sole 19 cantine, segno che forse qualche dubbio sulla formula della manifestazione è venuto anche a parecchi produttori cortonesi. Avendo potuto degustare appena la metà dei campioni, preferisco non riportare giudizi sui singoli, salvo dire che le cose migliori (non molte a dire il vero) le ho trovate tra gli italiani e qualche francese. Qualità invece molto ondivaga e tendente al basso, sempre con le dovute eccezioni per fortuna, tra le etichette locali. Comunque accompagnate dall’inquietante sensazione, però, che l’identità del Syrah sia qui ancora una chimera. Dopo vent’anni dall’esplosione del fenomeno, non è un buon segnale.