In vendita gli scatti in formato fine art di Cesare Monti, l’autore della copertina di “Anima Latina” e delle altre del periodo Numero Uno. E le rivelazioni del rapporto controverso tra il musicista, l’obbiettivo e un’immagine forse troppo poco “maledetta”.

Ieri, 5 marzo, sarebbe stato il suo 71° compleanno. Un’età risibile, a paragone delle aspettative di vita contemporanee. Eppure Lucio Battisti è morto nel 1998, oltre quindici anni fa, quando ne aveva appena 55.
Da allora, in tre lustri, la sua popolarità è quasi cresciuta.
Merito non solo dei fatti di cronaca non sempre edificanti che lo hanno indirettamente riguardato, ma del fatto che, in realtà,  i monumenti non invecchiano. Al contrario, col tempo si velano di una patina d’antico che li rende invulnerabili.
In una cosa, però, Lucio Battisti non era un vincente nemmeno da vivo: nell’immagine.
Non era bello. Non aveva un’aria maledetta. Con quei riccioli che lo rendevano un po’ goffo, il fisico vagamente tendente alla pinguedine, le gambe sempre pienotte come le guance.
Insomma non era un’icona.
Il look era il suo punto debole.
O, se vogliamo, il suo volto più umano. Terrestre.
A ricordarcelo viene uno che di musica e di foto se ne intende, Guido Harari, firma storica di mezzo secolo di scatti al rock and roll.
Nella sua Galleria di Alba, la Wall of Sound (qui), Harari ha infatti in vendita da ieri le immagini scattate a Lucio da un altro che lo conosceva, bene, anzi benissimo, e da vicino: Cesare Monti. Poeta, scrittore e fotografo, appunto, autore delle foto di copertina di alcuni dei dischi più famosi del periodo Numero Uno di Battisti, da Il mio canto libero a Umanamente uomo: il sogno, da Il nostro caro angelo a Anima latina.
Foto in grande formato, versione fine art, integrate da quelle di un altro grande archivio fotografico, il Farabola, precisa Harari. Numerate e firmate. Un’occasione ghiotta per i collezionisti, ma anche un’opportunità per chi vuole solo dare un’occhiata o ripercorrere per un attimo la magia dei “favolosi” anni ’60.
Un decennio che, con il successivo, anche Monti ha percorso creativamente per intero, lavorando a tutto campo per l’industria musicale italiana.
Ma Battisti che rapporto aveva con la propria immagine? Era, come sembrava, distratto, poco attento?
Tutto il contrario: “Lucio non mi dava tregua e continuava a chiedere il perché di questa o quella immagine“, racconta Monti. “‘Che senso vuoi dargli?’, mi diceva. “A volte, non sapendo cosa rispondere, dovevo inventarmi un significato plausibile. Solo che quando me lo chiedeva di nuovo, non ricordandomelo più, me ne inventavo un altro! Insomma, era uno stress“.
Era un perfezionista, Lucio Battisti. Ossessivo.
Imperdibile il ritratto che, anni fa, ne fece Renato Marenco nel libro in cui raccontà la “vera storia” (qui) della sua famosa intervista esclusiva per Ciao 2001, catturata durante le registrazioni di “Anima latina”.
Rivedere oggi quegli scatti, alcuni famosi, altri meno, nella solennità delle dimensioni e del ricordo, fa un certo effetto. E ogni volta sembra far riemergere quell’impressione di inadeguatezza estetica che spesso traspare dalle espressioni del Battisti fotografato. Un lieve disagio. Un’ombra di smarrimento.
Come se ogni volta, tentato dall’obbiettivo, provasse a rispondere come in “Allettanti promesse“: “No, non mi va, preferisco restare qui“.