La musica, quella che per te conta, ha sempre un profumo. E’ il profumo delle circostanze e delle persone grazie alle quali, o circondato dalle quali, quei suoni hanno acquisito un significato fondamentale. Era il 1976, il mio primo stereo e l’lp n° 18…

 

Soundtrack: “Carry on“, CSN&Y

 

Deja vu” di CSN&Y porta il numero 18 della mia ormai chilometrica collezione di dischi. E’ sempre quello, mai ricomprato.
Ricordo perfettamente quando lo acquistai: era il gennaio del 1976, al negozio di Brunetti e Conti all’Isolotto, estrema (allora) periferia di Firenze.
Fu un acquisto sofferto. Soldi contati come sempre, desideri tanti.
In quel posto decentrato, che per raggiungerlo ci volevano due cambi di bus, gli lp costavano 4mila lire anziche le 4mila e 500 dei negozi del centro. E 3 si pagavano 10 mila lire. Destinazione obbligata, quindi. C’era una gran confusione e ci riparavano pure i flipper, ma tra gli antri umidi e stipati la scelta era ottima e qualche tardo fricchettone faceva da coreografia.
Ce ne fu uno che, mentre sottovoce discettavo dell’acquisto col mio amico e futuro testimone di nozze Ausonio, intervenne e per simulare il terremoto che quel disco aveva provocato alla sua uscita (sei anni prima, quando lui avrà avuto, come me in quel momento, quindici anni), cominciò ad agitarsi tutto, rovesciando gli occhi indietro. Forse pensava di impressionarci, invece ci face solo parecchio ridere (io e Ausy ce ne ricordiamo ancora).
Ma non è sono per questo che “Deja vu” ha per me un’importanza fondamentale. E nemmeno perchè, ovviamente, è una riconosciuta pietra miliare del r’n’r.
Era infatti questione di giorni: ancora poco e avrei avuto il mio vero impianto stereo.
Il piatto, un Pioneer PL12D a cinghia, me l’ero comprato a costo di indicibili risparmi e interminabili giri tra i rivenditori per spuntare il prezzo migliore. Me lo ricordo ancora, nella sua scatola di cartone, incartato tra morbidi cellophane: 110mila lire, per me una cifra pazzesca.
Il resto era assolutamente fuori dalla mia portata.
Ci pensò il mio povero babbo che, da un collega veneto appassionato di hifi, ci comprò usati (affarone, ma senza saperlo) un paio di altoparlanti e un amplificatore a valvole Scott del 1968 dal suono ancora meraviglioso. Ci metteva alcuni minuti a scaldarsi e ne dava il segnale accendendo una piccola spia arancione.
Toccò quindi a “Deju vu” inaugurarlo, appoggiato su una vecchia ribaltina che aveva fatto da scrivania a mia madre durante il liceo e che io avevo riciclato come “mobile stereo“.
L’emozione dell’esordio, in quel seminterrato tappezzato di poster di Ciao 2001 e di Autosprint che poi per tutti sarebbe divenuto “il bunker” e infine il “mio ufficio”, fu enorme.
La cosa più impressionante di tutte, che risento come se fosse ora, era però il profumo del vinile che si mescolava con quello del giradischi, uno strano sentore di plastica, legno ed elettronica da negozio di hifi che precedeva, come una sorta di rito olfattivo, ogni ascolto. La sensazione era inebriante, imprescindibile. Un’immersione, una premessa, un passaggio necessario e quasi fisico.
Partirono così sequenze interminabili di ascolti nella penombra, pomeriggi e interi dopocena a sezionare ogni nota, entomologizzare le copertine, divorare le riviste. Sempre immersi in quell’odore a cui dopo un po’ ci si assuefaceva, ma che non abbandonava mai del tutto la stanza, la quale ne era quindi, in qualche modo, impregnata
Fu con quel disco e grazie a quel profumo che imparai ad apprezzare un suono inimitabile che, anche a distanza di decenni, rivela tutta la sua fondamentale e potente grandiosità.
Oggi, direi, addirittura più che allora.
Non finirò mai di ringraziare il mio babbo che, andando contro ogni suo istinto, si piegò (e Dio sa quanto ci volle a convincerlo, operazione invece fallita per l’altrettanto anelata batteria) a comprarmi quello stereo.
Senza di esso, non sarei mai stato la stessa persona.
E nemmeno senza CSN&Y.