Ho partecipato ieri su Raisport a “Pomeriggio da Campioni” , con Xavier Jacobelli e Carlo Longhi. Tema: pallone, errori arbitrali e tecnologia. Io ero “anti”, loro “pro”. Non credo però che ci siamo capiti. Perchè non erano diverse le idee, ma le premesse.
Molto tempo fa, dopo le polemiche sui clamorosi errori arbitrali dei Mondiali sudafricani, scrissi su questo blog un pezzo un po’ provocatorio (qui) in cui mi dichiaravo dalla parte di Blatter nell’essere contrario all’introduzione della tecnologia in campo.
Le ragioni, ovviamente, non erano le stesse più o meno esplicitate dal discutibilissimo presidente della Fifa, ma altre. Di natura, diciamo così, culturale.
Dicevo cioè che gli errori, anche quelli dell’arbitro, fanno parte del gioco. Che il gioco stesso, essendo umano, è per sua natura soggetto a errori (tanto dei giocatori che di chi lo dirige). E che in definitiva volevo sentirmi libero di recriminare, gridare al furto e insultare la moglie della giacchetta nera senza che un’algida macchinetta mi togliesse, smentendomi, la soddisfazione di poterlo fare. Cosa che invece ancora oggi tutti invocano, forse senza rendersi conto che è il doping moviolistico, e non le sviste, a uccidere il bello del calcio. Sia giocato che parlato.
Giorni fa, un po’ a sorpresa (sorpresa per me, non certo per l’argomento, che ogni settimana torna sulla bocca di tutti), mi chiamano dalla redazione di Raisport dicendomi che erano rimasti colpiti dal mio pezzo e invitandomi a partecipare a un blocco della popolare trasmissione pomeridiana “Pomeriggio da Campioni“, dedicato appunto a quel tema. In contraddittorio con i conduttori Paolo Paganini e Alessandra De Stefano e altri autorevoli opinionisti come David Messina, Xavier Jacobelli, Gianni Cerqueti, Massimo Marazzina e l’ex arbitro Carlo Longhi.
Ho accettato volentieri e ieri sono andato in onda.
E’ stato divertente, ma non sono sicuro che ci siamo capiti.
Perchè parlavamo proprio di cose diverse. E non della stessa cosa vista da punti di vista diversi.
Mi spiego.
Gli argomenti logici portati a favore della tecnologia in campo sono stati e restano ineccepibili: certezza del diritto, equità sportiva, sanzioni ai furbi e premi agli onesti, individuazione degli arbitri capaci e di quelli meno (con conseguenze anche meritocratiche, almeno teoricamente, nelle designazioni). Condivisibili, a mio parere, anche quelli “politici” sostenuti con particolare fervore da Jacobelli: e cioè che il ricorso ufficiale alla tecnologia è in realtà osteggiato da Blatter e Platini perchè l’innovazione toglierebbe di fatto potere agli arbitri e all’intero sistema calcio, esclusi ovviamente i suoi protagonisti più importanti, ovvero chi lo gioca e chi lo guarda. Toglierebbe insomma a chi comanda o dirige la facoltà di condizionare, nella sostanza, il gioco, i risultati, la gestione del gran circo.
Meno condivisibili, secondo me, ma comunque legittimi, i ragionamenti sui “grandi interessi in ballo“, economici e non, che suggerirebbero di dare al pallone un più solido apparato di verifica tecnico-regolamentare e di fare un minore affidamento su certi valori, non misurabili, definiti “romantici“.
Il punto, però, è che il mio non era in alcun modo un ragionamento romantico, nè ingenuo.
Anzi era, al contrario, cinico fino all’estremo.
E molto semplice.
Penso che, come detto, l’errore arbitrale sia fisiologico, così come lo è l’errore tecnico del calciatore che sbaglia il passaggio o quello fortuito procurato dalla classica zolla fuori posto.
Gli errori (dando quindi sempre per scontato che siano in buona fede, va da sè) fanno arrabbiare, imprecare, recriminare. Sono uno dei condimenti, se non il sale, dello sport. Sono degli imprevisti a tutti gli effetti.
Essendo umani e legati alla fisicità del mondo, quello sportivo incluso, con tutte le sue altre debolezze come l’ansia di vincere a ogni costo, l’ipocrisia, la slealtà, essi senza dubbio vanno limitati al massimo. Ma con sistemi altrettanto umani e fisici: l’occhio, la competenza, l’intuito, il talento. La scienza e l’implacabile precisione garantiti dalla tecnologia restino fuori. Si tratta di cose incompatibili.
Io almeno la penso così.
E penso che la sovraesposizione mediatica degli abbagli distolga l’attenzione, convogliando la passione del tifoso non sul gioco, ma sul contorno.
Come ogni cosa, tutti gli errori, anche i più clamorosi, con il tempo sono infatti destinati ad essere dimenticati, messi in secondo piano dall’incalzare di nuovi eventi, nuovi fatti, perfino nuovi errori. Sfumano. Scivolano pian piano dalla cronaca nell’amarcord.
A meno che un mostruoso apparato tecnico-scientifico, come quello che si profila nei desiderata di una massa sempre più accecata, non contribuisca a renderli eterni. A mettere essi – e non il gioco, il campionato, la prossima partita – sempre al centro della scena. A farne non solo il fulcro dei commenti, ma la scriminante dei medesimi.
Se, per seguire l’esempio portato da Jacobelli, lo sbaglio che ha spinto l’arbitro a sanzionare l’inesistente simulazione di Quadrado, con rigore negato e espulsione del giocatore, nell’ultimo Fiorentina-Napoli, non fosse stato entomologizzato, replicato centinaia di volte da mille differenti punti di osservazione ed elevato a modello, riproiettato no-stop anche a distanza di giorni, ma fosse rimasto lì, nel limbo dei pur probabilissimi, quasi-conclamati gravi errori arbitrali, forse non avrebbe assunto la gigantesca importanza che ha assunto. Il caso avrebbe fatto clamore ma poi si sarebbe spento, si sarebbe voltato pagina. E oggi finalmente si parlerebbe d’altro. Cioè magari di altri errori, di altre partite. La giusta arrabbiatura dei tifosi si sarebbe mutata in rinnovata passione per la squadra del cuore. Perfino i giocatori, tranne forse il diretto interessato, l’unico a sapere la verità vera, se ne sarebbero fatti una ragione.
E invece no. Ma così il rischio è di scrivere la storia del football attraverso le cappellate degli arbitri, anzichè attraverso le prodezze dei giocatori.
Ogni domenica sui campi di calcio ci sono decine di errori arbitrali.
Ma per fortuna la vita e il gioco continuano.
Continuiamo dunque anche noi a divertirci con i discorsi da bar e le accuse incrociate. Lasciamo che gli errori irrisolti svolgano il loro vero ruolo: quello di far discutere, di appassionare e non di mettere in ombra lo sport.
Facciamo sì che l’interpretazione visiva dei fatti resti affidata all’occhio umano, non a quello elettronico. Tanto poi a bordo campo sarebbe sempre un occhio umano a visionare e a giudicare i filmati immortalati dalla telecamera.
Sì, vabbene, un microchip potrebbe forse renderci immuni dai (rari) gol fantasma. Un teleobbiettivo darebbe in millimetri la consistenza o meno di un fuorigioco vero o presunto. Ma vuoi mettere il gusto di ricordare, anni dopo, il gol-non-gol che dette all’Inghilterra la vittoria ai mondiali del ’66 contro la Germania? E di rinfacciare agli juventini la conquista dello scudetto grazie al falso offside fischiato a Turone?
La moviola in bianco e nero di Sassi e Vitaletti, che attraverso immagini sfuocatissime cercava faticosamente di far luce sulle azioni contestate, non dava quasi mai certezze. Al massimo aiutava a farsi un’opinione. Qualche dubbio residuo restava e allo sportivo rimaneva solo la voglia di riscatto. La moviola di Sassi e Vitaletti era umana, l’occhio di falco elettronico appostato sul palo o sulla bandierina del corner, no.
Ecco, io vorrei poter continuare a farmi un’opinione e a rosicare, invece di farmela scippare da un occhio di falco qualsiasi. E di trasformare il calcio in quello che ancora, per fortuna, non è: un volgare videogame.