Soundtrack: “Sweet Jane” (da “Velvet Underground Live 1969”)
L’artista di Brooklin è scomparso oggi a 71 anni, dopo una vita vissuta pericolosamente e strafottentemente. Poeta e canaglia, cinico e fragile, è stato un musicista che ha lasciato il segno. A volte anche rinnegandosi.
Lester Bangs: “Ti piace Lou Reed?”
William Miller: “Le prime cose che ha fatto. Poi vuole imitare Bowie e rinuncia a essere se stesso.”
Lester Bangs: “Ti droghi?”
William Miller: “No.”
Lester Bangs: “Bel colpo!”
(dal film “Quasi Famosi“).
Gira la notizia che sia tutto falso, ma io temo che sia vero: è morto Lou Reed.
Appena l’ho saputo, il primo pensiero è stato che, come anche altri hanno osservato, era un miracolo che fosse arrivato fino a 71 anni dopo tutta la roba presa e la vita che ha vissuto.
Il secondo è stato che adesso lo avrebbero ucciso un’altra volta con la retorica a buon mercato dell'”eroe maledetto” del r’n’r.
Puntuale, dopo pochi minuti, è arrivato il titolo del Corrierone: “Addio Lou Reed, eroe del rock“. E poi via all’effluvio. Abuso torrenziale di passeggiate sul “wild side” e paccottiglia varia. Prepariamoci ora a subirla per giorni, con le lacrimucce un tanto al chilo di fan vecchi e nuovi (i quali, per effetto emulativo, finiranno per essere più dei vecchi), pronti a inventarsi idoli improvvisati pur di avere un feticcio da piangere, Simoncelli style.
Lui, pur narciso come pochi, non avrebbe gradito.
La vecchiaia l’aveva disilluso, come la gioventù l’aveva incanaglito. Poeta e buffone, strafottente e lirico, teatrante ipersensibile.
Il suo disco migliore, il più riuscito per rispondenza tra effetto desiderato e effetto ottenuto, fu “Metal Machine Music” del 1975: oltre un’ora di sgangherato sibilo elettronico in equilibrio tra rumorismo gratuito e sperimentazione classica. Provocazione punk, suicidio commerciale, sberleffo. Difficile vivere da mito e nel mito, dopo i Velvet Underground.
Quello stesso anno scese in tour in Italia e mal gliene incolse: gli autoriduttori romani lo cacciarono dal palco a sanpietrini. Tornò nel 1980, al termine del medioevo concertistico italiano. Lo ricordo nervosissimo al Prato del Quercione delle Cascine, a Firenze, un’ora e poco più di concerto a volume altissimo, bottiglie di plastica che volavano innocue nella notte estiva e centinaia di siringhe piantate nei tronchi degli alberi dai fricchettoni sulla via del tramonto.
Eppure è stato un grande, Lou Lou. Ruvido e scafato quanto basta per disimpegnarsi nel labirinto di una carriera cinquantennale, perennemente a cavalcioni sul surf dell’industria, tra ciarlatanismo ostentato e perle letterarie newyorkesi, incubi personali e ossessioni gay.
Un perfetto rock and roll man.
A mio personale parere il meglio di sè lo dette coi Velvet Underground, miscela di personalità esplosive in un quinquennio (1965-1970) altrettanto esplosivo. Poi il lungo percorso solistico, le iperproduzioni, le cadute e le risalite, la droga, le luci della città, il glam sempre in agguato, la voce scarnificata, la mai sopita vena elettrica e l’amore per il suono ipnotico, un ego smisurato e un talento tanto spigoloso quanto lucente.
Lo saluto con la versione che più amo, semiacustica e quasi sussurrata, inusuale e classica al tempo stesso, di una delle mie (e ovviamente sue) canzoni preferite, la “Sweet Jane” dal chiaroscurale “Live 1969” dei V.U., mentre i titoli di coda scorrono su “All Tomorrows Parties” e il pubblico lascia la sala al suono di “Sad Song“.
Oh, what an (un)perfect day…
“All Tomorrows Parties“.
And what costume shall the poor girl wear
To all tomorrow’s parties
A hand-me-down dress from who knows where
To all tomorrow’s parties
And where will she go and what shall she do
When midnight comes around
She’ll turn once more to sunday’s clown
And cry behind the door
And what costume shall the poor girl wear
To all tomorrow’s parties
Why silks and linens of yesterday’s gowns
To all tomorrow’s parties
And what will she do with thursday’s rags
When monday comes around
She’ll turn once more to sunday’s clown
And cry behind the door
And what costume shall the poor girl wear
To all tomorrow’s parties
For thursday’s child is sunday’s clown
For whom none will go mourning
A blackened shroud, a hand-me-down gown
Of rags and silks, a costume
Fit for one who sits and cries
For all tomorrow’s parties