La kermesse veronese, oltre ad essere la fiera vinicola più importante del paese, è anche uno specchio fedele dei tanti vizi e delle rare virtù nazionali. Eccone una piccola galleria.

LEI NON SA CHI SO(G)NO IO. Un classico del Vinitaly. All’ingresso stampa si presentano puntualmente folle di sedicenti giornalisti che tentano ogni trucco per farsi accreditare, convinti (sbagliando) che a noi (i quali siamo già sedicenti abbastanza per conto nostro) siano riservati chissà quali vantaggi o privilegi. Tra gente che ostenta improbabili tesserini e sventola fax dal contenuto misterioso, spicca un tipo che, alla richiesta della hostess (“Ma lei è giornalista?”), ha candidamente risposto: “No, però ho scritto parecchie lettere al direttore. Qualcuna pubblicata, anche”.

IL PIU’ BELLO DEL REAME. Sulla gente la presenza di una telecamera nei paraggi produce un effetto ipnotico: basta che uno ti inquadri e tu subito ti metti in posa. Il problema è che non ti chiedi il perchè dell’inquadratura stessa e nessuno pare sfiorato dal dubbio che sia per via delle gote rubizze, delle movenze goffe, della camicia fuori dai pantaloni o della patacca d’unto sul vestito nuovo. Leggendario ieri: un tipo insignificante si è pavoneggiato per mezz’ora davanti a un cameraman che, inspiegabilmente, continuava a riprenderlo, prima di accorgersi che il ripreso era la bonazza seduta alle sue spalle.

IN SUV E IN GIU’. Smania da traffico mattutino fuori dalla fiera. Automobilisti nervosi, scooteristi fastidiosamente zigzaganti e suvvisti incazzati neri perchè dall’alto vedono meglio il serpentone infinito che blocca tutti. Alla fine succede l’inevitabile: passi tu, passo io, ci passo, non ci passo e lo scooterista finisce a terra, quasi sotto le ruote minacciose del suv. E mentre il primo (sperando non ci siano danni peggiori) giace dolorante per le probabili sbucciature, il secondo scende furibondo e lo insulta con improperi creativi. La cosa fa invelenire l’amico Alessandro Maurilli, in questo momento seduto qui accanto a me, che chiosa il fatto con parole di fuoco. Ma di chi era la colpa?

LOST IN THE OZONE. Un ammirato complimento a tutte le donne – senza distinzione di avvenenza, età, altezza, peso, eleganza, ruolo e professione – che senza fare una piega si lanciano 9 – 18 nel massacro vinitaliano dall’alto dei loro trampoli tacco 15. E li usano perfino per camminare, perchè poi le incroci ovunque, anche nei padiglioni più sperduti. A dimostrazione che la mobilità non è una questione di tacchi, almeno per loro. O che forse fanno pubblicità alle scarpe.

MINIMO IDRICO SINDACALE. Avviso a tutti i giornalisti dipendenti dalla caffeina: al bar dell’ufficio stampa l’acqua è razionata e gli allacciamenti vengono tagliati ad orari precisi, con puntualità inesorabile: l’erogazione parte la mattina alle 9 e si arresta il pomeriggio alle 18. Provare per credere. E immaginare la faccia dei poveri baristi costretti a spiegarlo agli sconcertati avventori.

O SOLE MIO. TUO. NOSTRO. Miracolo a Verona: stranamente non solo non piove nè fa freddo, ma fa anzi caldo. Caldo boia. Con sole che spacca le pietre. L’effetto è immediato: tutti fuori ad abbronzarsi. I padiglioni si svuotano e i cortili si riempiono di gaudenti in cerca di tintarella col bicchiere in mano. Una sorta di movida vinicola. Compreso il bivacco sulle panchine, la lotta per gli strapuntini, l’assalto alle fioriere. Spesso ad occhi chiusi, perchè c’è chi tenta di prendere il sole perfino alle palpebre. Mah…

IL TERROIR E’ MIO E LO GESTISCO IO. Origliato davvero in uno stand. Produttore (italiano): “Questo è il nostro vino di punta, taglio bordolese, cabernet e merlot, molto tipico”. Cliente (perplesso): “Tipico? Non mi pare, francamente, che nella vostra zona questa tipicità emerga molto”. Produttore (seccato): “Non mi sono spiegato. Volevo dire che questo vino rispecchia alla perfezione il terroir del mio podere, non dei poderi degli altri”.

E la saga continua…