di GIULIO VOLONTE’
Da motore economico il turismo sta trasformandosi in fenomeno insostenibile. Il teorizzato “dirigismo turistico” verso mete “alternative” basta a invertire questa tendenza? Cosa ci riserva il prossimo Piano Strategico del Turismo?

 

Ho già avuto occasione in passato di scrivere della tendenza modaiola a voler vedere nelle “nicchie di mercato”, una soluzione sempre valida per ogni comparto, settore turistico incluso.

In particolare, sempre più di frequente, si legge nei documenti di organizzazioni internazionali e nazionali di come l’obiettivo della sostenibilità del turismo, tema divenuto centrale in questi ultimi anni, possa essere raggiunto attraverso la creazione di “turismi alternativi” che favoriscano la destagionalizzazione e delocalizzazione dei flussi.

Così, visto che le mie sensazioni mi portavano a dubitare della efficacia di questa soluzione, almeno a breve e medio termine, ho provato a raccogliere un po’ di dati, al fine di poter fare un’analisi basata su evidenze un poco più solide delle mie intuizioni personali.

E’ bene precisare che il concetto stesso di sostenibilità ha subito, negli anni, una sua evoluzione. Dalla sostenibilità intesa come mera questione ambientale, si è passati, come si può rilevare sia dalla letteratura di settore sia dai proponimenti espressi dall’ONU, Agenda 2030 in testa, ad un concetto più ampio che comprende, oltre alla sostenibilità ambientale, anche quella sociale ed economica.

Anche in Italia, il tema della sostenibilità è divenuto centrale, tanto che, nel Piano Strategico del Turismo, pubblicato dal MIBACT qualche anno fa ma ancora in corso di “validità”,  l’aggettivo “sostenibile” e il sostantivo “sostenibilità” vengono ripetuti, complessivamente, per ben 115 volte. Più di una per pagina, copertina e retro copertina incluse.

Ed anche il Ministero sembra evocare, come principale soluzione, quella del turismo di nicchia.

Lo fa, usando concetti sovrapponibili, anche l’UNWTO, in un documento del 2018 sull’Overtourism, con particolare riferimento alle aree urbane: “Strategies and measures to address visitors’ growth in cities”.

La nicchia, intesa come l’individuazione di piccoli segmenti del mercato, rappresenterebbe la soluzione all’eccessiva stagionalità ed alla conversione del turismo di massa – sinonimo di concentrazione dei flussi – in segmenti indirizzabili, a piacimento, verso destinazioni minori e meno affollate. Con l’esito di distribuire la pressione antropica, riducendo gli effetti negativi del turismo nelle mete più affollate ed apportando benefici economici nelle zone oggi meno frequentate.

Il tutto, partendo dal presupposto che il “turista moderno” possa essere graniticamente ricompreso nella definizione stereotipata che lo identificherebbe – così come riportato nel PST 2017-2022 – in una “evoluzione della domanda che non si concentra più solo sulla destinazione ma ricerca situazioni uniche e coinvolgenti capaci di trasformare una vacanza in un’esperienza da ricordare e condividere”.

Una definizione piuttosto semplicistica. Nulla di male se non la si fosse presentata come una prospettiva di analisi innovativa, un approccio inedito al turista ed al turismo, sul quale incardinare strategie per lo sviluppo.

Ma, in concreto, possono essere i segmenti turistici alternativi la risposta alle diseconomie del turismo, all’overtourism ed, in conclusione, la soluzione per il raggiungimento della sostenibilità del turismo?

Il turismo, in particolare il turismo internazionale, continua ad essere uno dei settori trainanti dell’economia mondiale, un comparto sul quale si punta per favorire e sostenere la crescita economica sia nei Paesi nei quali esiste una industria turistica ormai consolidata, sia nei nei Paesi in via di sviluppo.

Secondo quanto pubblicato dall’Organizzazione mondiale del turismo, UNWTO, nel 2019 si sono registrati 1,4 miliardi di arrivi internazionali che hanno generato, a livello globale, 1,7 trilioni di dollari di export.

Dopo la pausa imposta dalla crisi pandemica, ci si aspetta, ragionevolmente, che il comparto turistico ritorni, in tempi brevi, alla situazione precedente e che riprenda la sua crescita, inarrestabile sin dal dopoguerra, per raggiungere nel 2030, come da proiezioni pre-covid (o poco dopo, vista la situazione sanitaria), 1,8 miliardi di arrivi internazionali.

Nel messaggio del Segretario Generale dell’ONU, in occasione della Giornata Mondiale del Turismo, 27 Settembre 2020, si legge : “Oggi, il turismo è saldamente presente nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, come motore di progresso e tutela del pianeta nonché fondamento di pace e comprensione reciproca tra i popoli. Milioni di persone nel mondo contano sul turismo come fonte di reddito, soprattutto donne e giovani. Persone che sarebbero state altrimenti marginalizzate hanno trovato lavori decenti e la possibilità di una vita migliore grazie al potenziale unico del turismo. […] In un anno difficile come questo, concentriamoci sull’importanza del turismo per le persone che vivono in aree rurali, in coerenza con l’impegno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile di non lasciare nessuno indietro”.

Una dichiarazione che mostra, con forza, come la politica internazionale riponga nel settore turistico grandi aspettative e, conseguentemente, come la sostenibilità dello stesso sia diventato un tema cardine.

Nel documento UNWTO, “Overtourism”, del 2018, concentrato in modo particolare sul turismo che affolla le città, vengono elencate alcune strategie che dovrebbero portare ad un turismo sostenibile. Tra queste : “Promuovere la dispersione dei visitatori all’interno della città ed al di fuori della stessa”; “Promuovere la destagionalizzazione”; “Indurre i visitatori a dirigersi verso nuovi itinerari ed attrazioni”; “Sviluppare la segmentazione dei viaggiatori (incoraggiare i target di visitatori a minor impatto, in base allo specifico contesto cittadino e obiettivi”; “Scoraggiare la visita della città di determinati segmenti di visitatori”.

Proposte che sembrano ipotizzare che i flussi turistici e le scelte dei consumatori, in termini di luoghi e periodi di fruizione, possano essere efficacemente condizionate in virtù degli obiettivi che la destinazione si pone individuando, di fatto, nei “turismi alternativi”, o di “nicchia”, una possibile soluzione. Nulla di strano se non si partisse dal “modello” del turista post moderno che sfugge alle logiche di condizionamento del turismo di massa.

Allo stato attuale, però, dopo anni di tentativi, pare che i turisti si ostinino ad scegliere quello che più gli piace e conviene. E, frequentemente, la stessa scelta viene fatta da molti individui contemporaneamente, proprio perché viene ritenuta, in termini di costi/benefici, la più vantaggiosa.

Peraltro, sfugge perché imprenditori e lavoratori del settore dovrebbero concordare con l’idea di “mandare i turisti altrove” e come si possa pensare concretamente che le organizzazioni che hanno il compito di promuovere e gestire le destinazioni turistiche, dovrebbero, volontariamente, optare per orientarsi verso forme di turismo che fanno numeri troppo piccoli per produrre un ritorno economico equivalente a quello del turismo di massa. Scelta che, non consentendo adeguate economie di scala, porterebbe ad un aumento dei costi e, conseguentemente, un ulteriore calo della domanda.

Risulta evidente, peraltro, che ciascuna destinazione turistica affermata, tenderà, per interesse economico, per dimensione delle infrastrutture, per appeal, ad adoperarsi per attrarre quote consistenti di turisti, rendendo difficile sia la destagionalizzazione, sia la delocalizzazione.

Nelle ipotesi di voler individuare e creare nuove alternative, nelle quali delocalizzare i flussi turistici, bisogna pur considerare che non tutti i luoghi possono diventare destinazioni turistiche, per la mancanza dei presupposti necessari ad attrarre ed ospitare grandi o medi flussi di visitatori.

Bisogna anche considerare che i luoghi che dimostrano di poter attrarre particolari nicchie di mercato turistico, con buona probabilità, risultano attrattivi poiché caratterizzati da elementi propri della nicchia. Sembra un controsenso pensare di convogliare flussi turistici considerevoli proprio in quelle destinazioni che, anzi, andrebbero protette da un’eccessiva pressione turistica, al fine di preservarne le condizioni ambientali che ne determinano il successo. Pena la perdita di appeal sul target che la frequenta.

Inoltre, le stime inerenti la crescita del mercato sembrerebbero indicare che, per quanti turisti si possano indurre a scegliere vacanze alternative, visti i numeri piuttosto contenuti che fanno registrare queste forme di turismo, l’incremento totale degli arrivi internazionali compenserà – rendendola inefficace – l’eventuale delocalizzazione, anzi, con buona probabilità, il numero complessivo di turisti nelle destinazioni principali, aumenterà ancora (nella sola Europa mediterranea si stimano crescite intorno al 4-5% all’anno. Un dato che, per l’Italia, equivarrebbe ad un incremento di circa 4 milioni di arrivi/anno).

Se da un lato il Piano Strategico del Turismo mi rincuorò ponendo tra gli obiettivi principali quello di agire con una governance ed un piano di marketing e comunicazione unitario, omogeneo a livello nazionale, dall’altro lato, visti i risultati, sembra dar corpo alle mie perplessità.

Da quello che emerge dai dati e dai sondaggi sulle motivazioni che spingono i turisti a visitare l’Italia, pare non abbia grande senso, sul palcoscenico internazionale, puntare sulla promozione di turismi alternativi, sperando di convogliarne i flussi su destinazioni meno affollate, poiché sono gli storici attrattori consolidati – città d’arte in testa –, come si legge anche nel PST, a stimolare l’interesse dei visitatori.

Un patrimonio che fa parte dell’immaginario collettivo. Leve di marketing che non possono che essere lo strumento principale nella competizione sul mercato turistico internazionale.

D’altra parte, non si capisce perché un turista che arriva da lontano, magari per la prima volta, dovrebbe evitare Firenze, Venezia o Roma per dedicarsi alla visita di un pur affascinante ma piccolo e sconosciuto borgo, nel quale fare una passeggiata tra i boschi o visitare una chiesa minore.

La valorizzazione di destinazioni alternative, lo sviluppo di strategie tese a intercettare la domanda di nuove forme e nuovi segmenti del mercato turistico, la promozione e valorizzazione di eccellenze del patrimonio culturale ed enogastronomico del nostro Paese, come i borghi, il turismo del vino, i cammini, i parchi naturali, il turismo sportivo, sono, senza dubbio, proponimenti importanti per qualificare l’offerta turistica complessiva e per portare il turismo anche in zone meno frequentate. Ma se a livello locale e della singola impresa turistica, l’individuazione di strategie di offerta che incontrino la domanda generata da queste nicchie di mercato è fondamentale, a livello di Paese non paiono poter raggiungere l’obiettivo di destagionalizzare e delocalizzare al di contribuire in misura significativa alla sostenibilità.

E’ chiaro che, come emerge da innumerevoli documenti di indirizzo politico economico, l’obiettivo della sostenibilità sia diventato una priorità a livello globale. Ma nel mettere in pratica questi principi, non ci si può dimenticare che uno tra questi afferma che il turismo, per essere sostenibile, deve contemplare anche l’aspetto della crescita economica.

Le destinazioni turistiche, espressione dell’interesse di imprenditori e lavoratori del settore, operano ed opereranno per aumentare i profitti in parte mettendo a punto prodotti che garantiscano maggiori margini di guadagno, in parte agendo per aumentare il numero di arrivi e di presenze.

Certo, non è impossibile pensare, localmente, ad un contingentamento dei flussi, ma, per quanto si possa pensare di ridurli, nelle principali destinazioni resteranno sempre numericamente importanti ed impattanti. A meno che non ci si voglia illudere che tutto il mondo possa vivere di nicchie di turisti molto ricchi, in grado di sostenere un livello di spesa tale da sostituire le entrate economiche generate da milioni di presenze.

Per questo, mentre nelle zone ancora poco frequentate politiche di contenimento e gestione dei flussi turistici possono avere, senza dubbio, un peso strategico importante nel mantenere il turismo nell’alveo della sostenibilità, per le aree nelle quali il turismo è già un fenomeno di massa, è necessario un approccio più concreto al problema.

La soluzione non può essere sperare che i flussi si orientino diversamente solo perché viene proposta un’alternativa verso destinazioni minori.

Bisognerebbe forse, invece, smetterla di demonizzare il turismo di massa ed impegnarsi per ridurne gli impatti negativi e le diseconomie. Solo per fare alcuni esempi, attuando politiche tese ad incentivare l’uso di tecnologie atte a diminuire le emissioni, ridurre i consumi energetici, promuovere l’uso responsabile delle risorse idriche, installare strumenti per il recupero delle acque piovane ed il riciclo o il riuso di quelle utilizzate, impiegare strategie riguardo la riduzione della produzione ed il coretto trattamento dei rifiuti.

Bisognerebbe favorire, anche con azioni premianti dal punto di vista fiscale, l’impiego di materie prime locali. Con particolare riguardo per i prodotti del comparto enogastronomico.

Allo stesso modo, si dovrebbe tendere ad incentivare l’impiego di forza lavoro locale, con progetti tesi alla formazione e qualificazione del personale, ed avviare azioni volte alla riduzione degli svantaggi derivanti dalla mancanza di una continuità di reddito per i lavoratori del settore, quando legato alla forte stagionalità della destinazione.

Azioni che valgono ugualmente, in linea di principio, per ogni destinazone.

Laddove il turismo di massa è una realtà consolidata, è necessario a mio parere uscire dall’equivoco, cioè abbandonare l’utopistica idea di sostituire il turismo di massa con altre forme di turismo ed affrontare il problema vero: agire per renderlo sostenibile.

Potrebbero anzi essere proprio le economie di scala generate dal turismo di massa – e le grandi organizzazioni che ospitano migliaia di turisti ogni anno – a rendere fattibili quegli interventi.