Oddio, lezioni non proprio. Diciamo pro memoria. Importanti, però. Perchè se si vuol fare il libero professionista i conti bisogna saperli fare. Mentre invece il 90% dei freelance italiani o sedicenti tali proprio non ne è capace. E i risultati si vedono.
In coda al convegno sulla “sopravvivenza” dei giornalisti al Festival di Perugia di mercoledì scorso è stato proiettato un filmato applauditissimo e divertente (qui) che, con amara ironia, illustrava il destino dei molti di noi che vivono “d’aria“. Cioè pagati con promesse, “visibilità“, “gloria”, possesso del tesserino e così via.
Ci ho ripensato stamattina, quando mi ha chiamato un giornale, importante, con il quale collaboro da lungo tempo. E mi ha offerto un lavoro. Bello e interessante. Da prendere al volo, insomma.
Ma io l’ho, neanche troppo garbatamente, rifiutato.
Perchè? Semplice: non mi avrebbe fatto guadagnare una lira e, probabilmente, me ne avrebbe fatta perdere qualcuna. E siccome io non campo d’aria, lavorare mi serve per vivere e non viceversa.
A me sembra lapalissiano, ma poi ti guardi in giro e scopri gente che non una tantum, ma più o meno sempre lavora in perdita. Lamentandosene assai. E lanciando strali contro il sistema, il padrone cattivo, eccetera.
Ora, una cosa è essere pagati poco, il che da un lato giustifica il rancore e dall’altro dimostra lo stato di necessità in cui versano molti colleghi. Un’altra è lavorare gratis o addirittura scapitandoci, il che è sciocco e masochistico.
Con un’aggravante: spesso, chi lo fa, non sa di rimetterci. Pensa di guadagnare poco. Ma pur di prendere quel poco, accetta. Mentre se sapesse farsi bene i conti si accorgerebbe dell’inghippo e a cuor leggero rifiuterebbe le proposte indecenti. Ovvero quelle grazie alle quali, in pratica, finanzi gratuitamente chi ti fa lavorare gratis.
Bel colpo, eh?
Siccome però di increduli e di testoni questo ambiente pullula, ecco una prova aritmetica del mio ragionamento. Sull’efficacia del quale qualche dubbio lo nutro (durante i miei corsi di libera professione giornalistica all’Ifg Tobagi non riuscii a farlo afferrare bene ai pur vispi allievi), ma forse vale la pena di tentare.
Dunque, ti chiamano e ti propongono un servizio. Diciamo 10mila battute. E ti offrono 300 euro. A molti scintilleranno gli occhi. A me, no.
Poniamo ottimisticamente che il lavoro comporti un impegno di tre giorni: uno con trasferta sul posto, intervista e raccolta notizie, uno in ufficio per la verifica e le integrazioni e un terzo per la stesura. Contiamo le giornate e non le ore, sennò sarebbe peggio.
Partiamo dal fondo: dei 300 euro offerti (iva e inpgi 2 esclusi, è ovvio, sennò nemmeno si comincia), il 40% se ne va tra ritenuta d’acconto e irpef: ne restano, “veri”, 180. Da questi cominciamo a sottrarci i costi generali legati alla vostra attività (quote odg, ammortamento auto e pc, commercialista, assicurazioni varie, consumi elettrici e telefonici, affitti eventuali) che, vi garantisco, incidono per un ulteriore 25% degli iniziali 300. Dunque: 180 – 75 = residuano 105 euro.
A questo punto il vostro guadagno, ancora lordo di molte voci, va pure “ripulito” dagli oneri finanziari legati all’anticipo dell’iva su una fattura che, presumibilmente, viene pagata ben che vada a 6 mesi, e dalle minusvalenze legate alla mancata giacenza della somma sul vostro conto corrente. Partono così altri 5 euro e arriviamo ai fatidici 100 euro tondi.
Ci siamo? Macchè.
Vanno tolte le spese vive: benzina, panino e caffè per la trasferta, eventuali pedaggio e parcheggio, pinzillacchere varie. Sono ottimista e quoto il tutto 25 euro.
Ergo: 100 – 25 = 75 euro per tre giorni di lavoro, cioè 25 euro al giorno, cioè 750 al mese se si contano anche i festivi. Sennò si scende a 550/600. Semprechè, beninteso, per un articolo vi offrano sempre 300 euro netti e che ciò accada tutti i giorni del mese, senza mai lasciarvi un “buco” libero. Altrimenti i conti sono ancora peggiori. Se portate il compenso a 500 euro, le cose migliorano un po’, ma non tanto, perchè con il corrispettivo aumentano anche le percentuali da detrarre.
Insomma, ragazzi, il giornalismo è un gran bell’hobby, senza dubbio migliore di tanti altri.
Ma è un passatempo costoso.
Il lavoro – cioè l’attività che si svolge quotidianamente per campare la famiglia, per una vita intera – è un’altra cosa. E lì i conti devono tornare.