Fatta la legge, ora va convocata la commissione di 7 membri che, entro due mesi, dovrà materialmente “definire” l’EC. Già, ma CHI (della “quota” giornalistica) ne farà parte? E sarà nominato in base a quali concrete competenze? Ecco, qui forse la base vorrebbe e dovrebbe avere voce in capitolo…

Si fa presto a dire equo compenso.
La sua “equità” finale (cioè la sua adeguatezza al variegato mondo delle collaborazioni) dipende in realtà dal potere contrattuale, dalla capacità dialettica e soprattutto dalla preparazione specifica, in materia di compensi, dei sette membri della commissione chiamati a sancirla.
Di questi, almeno due sono di “quota” espressamente giornalistica: quello nominato dall’OdG e quello nominato dall’Fnsi.
Ovviamente ci si aspetta che i due, nella trattativa, stiano dalla parte dei giornalisti.
E che ci staranno, non ho dubbi.
Ho invece molti più dubbi sul fatto che gli apparati sappiano nominare le persone giuste.
Perchè il nodo sta tutto qui: se in commissione ci metto persone non all’altezza del compito, nemmeno il risultato finale sarà all’altezza. Col rischio anzi che sia addirittura controproducente alla causa.
Insomma, che linea sarà detto loro di seguire? Quali i parametri e i criteri di riferimento? E soprattutto: chi saranno i designati?
Forse, sul punto, un po’ di confronto preventivo con la base dei giornalisti direttamente interessati, cioè gli autonomi, non guasterebbe. Così, tanto per mettere a fuoco i problemi, i nomi e le strategie.
Il problema della definizione dell’equo compenso è infatti assai complesso, molto più di quanto non possa sembrare, perchè fa (e deve fare) riferimento a un sistema a sua volta complesso, estremamente variegato: nella diversità quantitativa dei compensi, nella loro logica e nella dinamica della loro formazione. Se in commissione andranno persone prive della necessaria esperienza e ampiezza di visione sulla questione (ad esempio chi crede che il nodo-compensi consista essenzialmente nelle retribuzioni per i collaboratori dei quotidiani, ignorando i periodici, le radio-tv, etc), tutto si banalizzerà su un paio di punti, mettendo in ombra il resto. Resto che è poi quello su cui campa il 90% di chi questo lavoro lo fa per vivere e non per hobby e che non potrà mai essere “equamente compensato” con 30, 50, 100 euro ad articolo.
Forse, allora, bisognerebbe creare, ma presto e anzi subito, un tavolo di confronto tra veri addetti ai lavori (inclusi i cani sciolti e non solo i soliti fedelissimi di odg e fnsi) per cercare, prima, di rendere tutti edotti sull’ampiezza e la complessità del problema, e, dopo, provare a elaborare una piattaforma condivisa da consegnare a dei commissari individuati esclusivamente in base alla loro competenza.
I precedenti non sono (eufemismo) incoraggianti. Ve lo dice uno che ci si è scontrato di persona.
In OdG si è ancora legati all’idea del vecchio “tariffario” abolito nel 2007. Che non solo non era esaustivo delle tante tipologie di rapporto di lavoro tra giornalista e testata e del relativo sistema dei compensi, ma spesso veniva ottusamente (sebbene – voglio sperare – inconsapevolmente) applicato a danno anzichè a favore dell’iscritto.
Come? Semplice: essendo la mentalità dei membri dei consigli dell’OdG legata principalmente al mondo dei quotidiani, altrettanto lo era il parametro in base al quale essi valutavano la “congruità” del compenso richiesto, in sede di contenzioso, da un giornalista a un editore. Il risultato era che se l’editore mi offriva 200 euro per un servizio che mi aveva richiesto una settimana di lavoro, e io invece ne pretendevo mille, loro davano ragione a lui. Bel colpo, eh?
Dell’Fnsi e della sua penosa politica sindacal-contrattuale in materia di freelance e autonomi, della sua non rappresentatività tra i predetti (circa il 7% appena), delle sue tante volte disattese promesse congressuali in materia, della sua evidente ignoranza (confondono i liberi professionisti coi precari, figuriamoci), dell’imbarazzante “commissione lavoro autonomo” presieduta da un tutore-non-autonomo, le camarille sulla Carta di Firenze, etc non credo sia il caso di esprimermi, visto che in passato l’ho già fatto tante volte.
Mi premono solo due cose:
1) che l’equo compenso sia ciò per cui è nato, cioè un minimo inderogabile, e non un prezzo universale di riferimento buono per tutto, utile solo a pilotare al ribasso i pochi compensi rimasti finora superiori a quel minimo;
2) non sia una scusa per aggirare come al solito, in sede dell’imminente rinnovo del ccnl, il nodo degli autonomi ed escluderli dal contratto, con l’argomento che ormai essi hanno già una “copertura“.
Una cosa, però, è certa: se, sulle cose di cui sopra, i freelance non cominciano subito a fare sentire forte e chiara la loro voce, magari proponendo loro candidati come membri della commissione, il rischio di uscirne con le ossa rotte è altissimo. Così come il rischio, equivalente, che tutto resti come è stato finora.