Dopo un’asperrima battaglia politico-elettorale, il piano sul paesaggio toscano è stato approvato. Ognuno se ne faccia, se ha voglia di leggersi 3mila pagine, l’idea che vuole (la mia è nota). Ma è comunque la riprova che l’agricoltura non conta nulla.
Che l’agricoltura contasse, e quindi fosse considerata dalla politica, come il due di briscola, non c’era bisogno che lo dimostrasse il pit approvato definitivamente l’altro giorno dalla Regione Toscana. Non è certo da ora che il mondo agricolo, anzi la ruralità in generale, costituisce agli occhi della gente una realtà impercettibile, impalpabile, imponderabile e, in sostanza, inutile. Buona al massimo, se vogliamo essere sinceri, per un uso dialettico, come argomento retorico da buttare sul tavolo delle discussioni più accese. Dove però, alla fine, gli interessi e i carichi che guidano il gioco sono altri.
Lo stesso vale per quell’appendice dell’agricoltura che è il paesaggio. Toscano in particolare.
Ma se di quanto sopra si volesse un’altra riprova, basterebbe leggersi i commenti che le fazioni dei pro-pit e degli anti-pit hanno rilasciato dopo l’approvazione del controverso documento. Agricoltori esclusi, ovviamente (tanto non li ascolta nessuno).
Dai primi si levano, talvolta nostalgicissimi, peana per la “sconfitta del partito del marmo e del mattone” e invettive tardosessantottarde contro il “profitto“. Non una voce che spieghi perchè anche gli agricoltori fossero contrari al piano e a quale “partito” o interesse appartenessero. Tra i secondi, gli esponenti dell’industria lapidea attribuiscono all’assessore Anna Marson, madrina del piano e moglie di uno dei suoi principali estensori (insomma, un curioso caso di famiglia, di parrocchia politica e di vecchi “compagni” di scuola), il “premio Nobel della stupidità politica“. E con quest’affermazione si attirano l’attenzione dei media. Il mondo agricolo invece si lecca, sì, le ferite su blog e social, se la canta e se la suona insomma, ma mediaticamente parlando rimane una comparsa sperduta sullo sfondo. Nessuno se lo fila.
Buffo, no, se si pensa che in una regione come la Toscana non solo il paesaggio è per definizione quello agrario, ma che è proprio l’agricoltura ad aver generato il paesaggio stesso.
Che il pit fosse, in realtà, uno strumento messo a punto a scopi elettorali diretti (raccolta a breve dei consensi alle imminenti elezioni regionali) e indiretti (resa dei conti tra le varie anime del PD e della sinistra, incluse le sfere di influenza di certe correnti intellettuali formalmente senza tessera ma ben schierate), era del resto già chiaro a tutti. Cosa succederà adesso è invece da vedere.
Sarà una questione di applicazione e di interpretazione delle norme. Che, nonostante le dichiarazioni del presidente Rossi, non sono uscite affatto semplificate o chiarite dal conciliabolo ministriale e dal dibattito consiliare
Il pit era e rimane un ginepraio burocratico. Una siepe quasi insuperabile di regole spinose e ambigue, che provocheranno alluvioni di carte bollate, peraltro già annunciate dai cavatori, e ritardi cronici.
Ma forse il piano voleva essere proprio questo: una diga immobile, armata di ideologia, messa a imbrigliare qualcosa, come il paesaggio, che invece è mobile per definizione.
Poi di che ci si meraviglia se le colline, abbandonate per mancanza di “profitto”, vengono giù e il paesaggio diventa brutto?