C’erano una volta quelli che non scioperavano e si credeva danneggiassero i lavoratori. I cottimisti ne erano la variante più virtuosa, ma restava una questione di soldi. Oggi siamo invece nell’era degli hobbisti: gente che smania per lavorare gratis. E che, se tenti di impedirglielo, si risente. Pseudogiornalisti compresi.
A me ‘sta storia proprio non va giù.
Per carità, libero chiunque di fare ciò che vuole della propria vita e del proprio tempo, anche se la prodigalità può essere motivo di interdizione.
Ma ritenere legittima la pretesa non solo di svolgere gratis certi lavori, mettendo fuori gioco, senza scampo, chi di quei lavori campa, bensì perfino di vedere riconosciute, in virtù del volontariato prestato, le prerogative professionali di chi, appunto, determinate attività le svolge (e le sa svolgere, come asseverato dall’iscrizione a un albo) per mestiere, mi pare pura follia.
Una deriva, anzi una degenerazione del troppo benessere. Una conseguenza dell’infantilismo assurto a stile di vita e prolungato ormai ben oltre quella che un tempo si chiamava mezza età.
Oppure, come ho più volte scritto, una singolare, ma tenace e dilagante forma di masochismo.
Comunque stiano le cose, si tratta di una pericolosa patologia che minaccia di incrinare la fondamentale dicotomia sociale tra il lavoro, cioè la fonte di sostentamento per antonomasia, e il tempo libero, cioè il diporto alla coltivazione del quale, in un mondo normale, la gente dedica (in modo possibilmente giudizioso) l’impiego dei propri risparmi.
La sindrome si manifesta, è ovvio, in quei settori presuntamente “facili” e nei quali ognuno si sente in grado di definirsi capace o di trovare piacere in tutte le sue più edulcorate versioni (“realizzarsi”, “esprimere la propria personalità”, “manifestare un’opinione” e via blaterando).
E quindi via al gioco “siamo tutti opinionisti“, che consiste nello sgomitare per giocare a fare “il mestiere più bello del mondo“, quello che “è sempre meglio che lavorare“: i giornalisti. Naturalmente nell’accezione postmoderna ed edonistica del termine, senza troppo sottilizzare tra informazione e comunicazione, deontologia e conflitti di interesse, tornaconti e amicizie, fatti e, appunto, opinioni.
Salvo poi, quando è tardi – e cioè quando si sono dilapidate migliaia di ore, chilometri, litri di benzina, suole di scarpe e schede telefoniche – accorgersi che di sola gratificazione non si sopravvive, che la visibilità non dà pane e che, ovviamente, qualcuno ci marcia e mette disinvoltamente a frutto la colpevole ingenuità dei volontari per vocazione.
Oggi, ad esempio, ecco uscire una notizia che per tutti gli addetti ai lavori era un dato acquisito da tempo: “La crisi colpisce oltre mille giornalisti/Dal Sole 24 Ore a Rcs, da Libero ad Avvenire, tutte le situazioni a rischio” (qui). Traduzione: si salvi chi può, sebbene a poterlo fare siano ormai sempre più in pochi, perchè il destino della massa è già segnato.
Un’opinione pubblica minimamente consapevole avrebbe trovato di che riflettere.
Resipiscenze, invece, zero. Non ho letto un rigo di rinsavimento da parte di chi rivendica il diritto di rubare il lavoro agli altri facendolo gratis. Sparite le vestali dell’hobbismo. Muti gli aedi tre-euro-pride. Anzi, molti stanno in silenzio a sfregarsi le mani in attesa, come avvoltoi, di potersi installare senza compenso al posto di chi, prima di loro, un compenso almeno lo percepiva.
Succede solo nel mondo della vera o presunta informazione, è chiaro. Mai che ci sia la fila per raccogliere pomodori gratis, fare i manovali gratis, riparare rubinetti gratis. E mai, va da sè, che ci sia manager, direttore o imprenditore che inviti il popolo a lavorare per la gloria (le pernacchie non piacciono a nessuno). Del resto non ce n’è bisogno: è la gente che si offre da sola.
E noi che, come mendicanti, stiamo ancora a raccogliere firme per far sancire il principio dell’equo compenso del nostro lavoro. Mi viene da ridere: è il mondo stesso che ci smentisce!
Il lavoro nero, le morti bianche, gli abusivi, le ispezioni, le vertenze, il praticantato d’ufficio, il contratto, i freelance…buonanotte.
Qui imperversano gli abusivi di se stessi e perfino gli sfruttatori di se stessi, i lavoratori da pomeriggio in poltrona con thè e biscottini, ma di che stiamo parlando?
E’ proprio vero, ognuno ha il “Fuffington” che si merita.