In un delizioso libretto che sarà presentato domani (11.30, libreria Brac di Firenze, via dei Vagellai 18r), Beatrice Bocci Balocchi riporta gli appunti della zia Tantì, allieva della Scuola di Cucina delle Cascine tra il 1914 e il 1927: vere e proprie lezioni di savoir faire e di economia domestica. Uno spaccato che la dice lunga sulla raffinatezza e la saggezza di un’epoca di cui spesso si sorride a vanvera.
La cucina è un’arte, una scienza o una disciplina? Oppure il punto di incontro tra piacere e necessità, bisogno e raziocinio, economia domestica e gola, godimento e organizzazione?
Tutte domande che vengono in mente, con le relative risposte, sfogliando un libricino che mi hanno recapitato in questi giorni e a cui il piccolo formato e l’agilissima veste non rendono giustizia rispetto al calderone di pensieri e considerazioni che esso è capace di sollevare.
Lo pubblica l’editore Maria Pacini Fazzi di Lucca e lo ha scritto un’ex insegnante di ragioneria, Beatrice Bocci Balocchi, che però è anche cuoca, sommelier e soprattutto figlia di buona famiglia. Di una di quelle famiglie, cioè, dove saper vivere, belle abitudini borghesi, un occhio attento ai conti da una parte e alla forma dall’altra sono sempre state coltivate con la naturalezza di chi ci nasce in mezzo. E dove le vecchie carte di cui mamme, babbi, nonni e zii avevano riempito i cassetti nel corso delle loro lunghe vite non finiscono al macero.
E’ grazie a questo accorgimento che la Bocci ha potuto recuperare, pubblicandone una silloge, alcuni dei quaderni di ricette appuntati tra il 1914 e il 1927 dalla zia Emma Couture detta “Tantì”, signora di nonna francese e di palato raffinato, quando era allieva della Scuola di Cucina delle Cascine.
Il solito ricettario d’antan? Niente affatto. Questo “Minute fiorentine d’inizio ‘900” è invece una strabiliante miniera di notizie e di stili di vita, nonché un manuale “morale” di economia domestica che la dice lunga sul livello di bon vivre che si era raggiunto in epoche storiche delle quali, chissà perché, oggi si tende a sorridere.
E’ impressionante ad esempio, l’accuratezza con cui tutto viene non solo annotato, ovviamente, ma pensato, concepito e organizzato. Quasi che la “messa in tavola” fosse il frutto di quella che ai tempi nostri viene sussiegosamente chiamata “cultura d’impresa”. Ogni menu, detto all’epoca “minuta”, riporta i prezzi dei singoli ingredienti, della ricetta in totale e del costo del pranzo per ciascuna persona (compresa perfino la spesa per il fuoco!). Non solo: di ogni pranzo la zia Tantì riferisce minuziosamente l’addobbo floreale predisposto per l’occasione, dai “papaveri Rheas e foglie di Acer negando foliis argenteis variegatis” al “Cercis siliquastrum”.
I menù sono distinti in “pranzi comuni” e “pranzi operai”. Questi ultimi, più numerosi, presentano un numero limitato di portate, spesso però più sostanziose rispetto ai menù comuni. La curiosa dicotomia si spiega col fatto che Carolina Valvassori, la “maestra” della signora Tantì alla Scuola delle Cascine, della quale poi la Tantì stessa prese per qualche tempo il posto, era anche moglie di un agronomo dell’attigua Scuola di Agraria, che ospitava nei suoi locali quella di cucina e forniva all’istituto le verdure dell’orto, in cambio di un pasto gratuito per i suoi operai. I quali potevano così sfamarsi (immagino ne fossero ben lieti) con le pietanze preparate dalle allieve. Un esempio di virtuosa sinergia, si direbbe oggi, o di razionale utilizzo delle risorse, in un’epoca in cui gli sprechi non andavano d’accordo nè con i principi morali, nè con la logica.
“La maggior parte delle ricette proposte nel libro – sottolinea Beatrice Bocci – si riferisce a preparazioni ancora valide, alcune addirittura precorritrici di piatti oggi in voga: il “dolce di caffè al ghiaccio con panna”, ad esempio, è diventato l’odierno tiramisù“. Solo col burro al posto del mascarpone.
Insomma, un volumetto da leggere. Per cucinare e meditare.