Si è conclusa con fegati morti e stomaci gravemente feriti l’Anteprima 2018 del vino toscano per i giornalisti, maratona (gli effetti nella foto di mano aliena) che ha messo a dura prova sia i colleghi che Regione e consorzi. Ecco i miei migliori assaggi, con qualche spigolatura.
Come è facile rilevare dal momento in cui scrivo, ci ho messo un po’ a riprendermi e a rivedere carte, appunti, giudizi.
Sorvolo sugli aspetti coreografici, come il doppio turno di Sting nel giorno inaugurale e in quello della piastrella dell’annata a Montalcino e passo ad elencare con un po’ d’ironia il meglio visto e assaggiato tra il 10 e il 18 di febbraio. Non risparmiando note su alcune spigolature, di costume e non.
Premessa indispensabile: per antica convinzione, non do voti pubblici ai vini. Nel senso che nel mio taccuino personale annoto di solito una valutazione in ventesimi, ma spiccata secondo una scala e con termini del tutto inintelligibili fuori dalla mia sfera, perchè sono convinto che per qualunque frutto della natura o della creatività (dal vino ai dischi, per capirci), il voto o le stelle rappresentino una gabbia utile ma pericolosissima, una prigione insomma, di cui il prodotto rischia di restare ostaggio per sempre, mentre il bello delle cose è proprio la loro cangianza, soggettività, momentaneità. Punto di vista personalissimo, si capisce. E dedicato a chi ho sorpreso a sbirciarmi nel computer.
Il primo giorno, quello dedicato in Fortezza da Basso a Firenze ai cosiddetti “piccoli consorzi” toscani (questo dell’aggettivo con cui definirli è un nodo difficile da sciogliere, perchè qualunque altro termine si scelga, si sbaglia, e anche dire “piccolo” non è un granchè: ammetto il mio fallimento nell’impresa, sebbene interpellato personalmente dalla Regione alla bisogna), è scivolato tranquillo, saturato dalla potenza mediatica dell’apparizione di Sting a margine della cerimonia inaugurale, che ho avuto il privilegio di coordinare. L’astro dell’ex bassista dei Police ha messo in secondo piano l’attenzione su alcune importanti questioni che erano sul tappeto e su cui l’assessore Marco Remaschi aveva pur acceso i riflettori: ad esempio l’IGT Toscana, l’unica denominazione a non avere un consorzio proprio ed anche l’unica, ironia della sorte, ad avere nel nome la gettonatissima parola “Toscana” (guarda caso la Tenuta Il Palagio di Sting era presente proprio con un IGT) e quella, non meno delicata, della “fuga” delle autorizzazioni al reimpianto toscane verso l’Eldorado veneto del Prosecco, fuga a cui alcune recenti norme regionali cercano di porre un freno. Preso anche dagli impegni istituzionali (Aset era presente con un proprio desk, vedi qui) non ho potutto assaggiare molto, ma tra le cose che mi sono piaciute menziono i vini elbani in anfora di Arrighi, il Carmignano 2015 di Capezzana e il Montecucco 2013 riserva di Basile.
Sempre in Fortezza, il giorno dopo, è toccato a Chianti Lovers, l’evento-presentazione del Consorzio Vino Chianti che già dall’anno scorso ha scelto la via del taglio giovanile, agile e scanzonato, con un successo di pubblico preannunciato. Da un punto di vista tecnico, troppi i vini e le tipologia da assaggiare in una giornata sola anche perchè – abile mossa! – quelli del Chianti si sono “maritati” coi colleghi del Consorzio del Morellino di Scansano, raggiungendo così una massa critica, anche politica, non indifferente. Io mi sono concentrato, sempre alla cieca, sui Morellino e sui Rufina: piuttosto deludenti i primi, con l’eccezione della maglianese Col di Bacche (per me, una piacevole conferma), mentre tra i secondi quello che mi è piaciuto di più è stato il Marchesi Gondi 2016.
Tra i momenti più attesi, lunedì e martedì, c’era la Chianti Classico Collection alla Leopolda, evento-monstre (organizzazione perfetta, complimenti allo staff) con oltre 659 (!) etichette e il tutto esaurito di giornalisti italiani e stranieri. Oltre ai 59 campioni da botte della problematica annata 2017, c’erano i golosi Gallo Nero del 2016 e ovviamente i 92 campioni di Gran Selezione da 2015 in giù. Mi sono concentrato su questi, degustandoli tutti alla cieca. Il risultato è stato quello che mi aspettavo: alto in generale il livello dell’ultima annata, sebbene un po’ tendente all’omologazione. La Gran Selezione si conferma una tipologia tarata sui mercati internazionali, senza dubbio efficace e centrata sotto questo punto di vista, forse un po’ meno appassionante per chi cerca cose più eccentriche (ma è un mio limite). Tra i tanti che mi sono piaciuti, segnalerei per pienezza, generosità e mancanza di orpelli i due Bibbiano 2015 e il Palagio “Le Bambole” 2013.
A malincuore, per questioni personali, ho dovuto disertare l’appuntamento di San Gimignano: sia le degustazioni che la tradizionale e come sempre interessantissima mattinata tecnica in Sala Dante, quest’anno dedicata a sei vini bianchi italiani di diverse denominazioni (Collio Friulano, Custoza Superiore, Greco di Tufo, Sicilia Grillo, Soave Classico e Verdicchio di Matelica) che insieme a sei etichette di Vernaccia di San Gimignano hanno composto una rosa dei dodici vini sottoposti ai giornalisti in degustazione coperta. Mi dicono sia andata benone.
Il giovedì è stata la giornata dedicata al Nobile di Montepulciano (4 stelle alla vendemmia 2017), a margine della quale, alla cena del mercoledì sera, è stato consegnato da noi di Aset e dal gruppo IGP il VI Premio Gambelli per il miglior enologo under 40 a campano Luigi Sarno (qui). Nella città poliziana era di scena l’attesa annata 2015, valutata a 5 stelle. Molte, purtroppo, le assenze, legate anche a certe tensioni interne che stanno attraversando il consorzio ed hanno fatalmente un po’ distratto la stampa. All’assaggio, comunque, il Nobile di Montepulciano 2015 ha mostrato, nel bene e nel male, una certa e apprezzabile compattezza stilistica. Tra i miei migliori la Tenuta Tre Rose e, tra le selezioni, Gattavecchi.
Venerdì e sabato toccava a un altro degli eventi clou della settimana, il Benvenuto Brunello, con la riapparizione di Sting in veste stavolta di firmatario e appositore della formella celebrativa dell’annata (che ha preso 4 stelle, mah!…) con successivo bagno mediatico. Affollamento a parte (che sotto certi aspetti è però un successo) devo dire che l’organizzazione generale è stata impeccabile e non si trattava di un’impresa semplice. Anche in questo caso, però, troppi vini per poterli assaggiare tutti in una giornata e mezzo. Così, con rammarico, ho dovuto “saltare” i Rosso 2016 e le riserve 2012, limitandomi ai Brunello 2013. Tutti alla cieca, as usual. Era un’annata controversa (4, un po’ larghe, le stelle conferite all’epoca) in cui ho trovato in generale una media potenza e una buona freschezza. Dovendo segnalare cosa mi è piaciuto di più, direi Gianni Brunelli per il suo nerbo e Caprili per la sua ricchezza. Tra i molti inviti a cena ricevuti (grazie!) ho accettato quello di Emilia Nardi a Casal del Bosco e non me ne sono pentito: gran bella serata e anche gran bei vini, come l’assaggio coperto del giorno dopo ha confermato.
Venendo ai postpeggio…una volta tanto non mi è facile individuarne molti, perchè mi pare che alcuni difetti del passato siano spesso stati compresi e risolti. Ad esempio la Regione ha concentrato i suoi sforzi sul messaggio promozionale, evitando di fare dell’evento-anteprime una sorta di stati generali del vino toscano, destinati fatalmente a far emergere anche i problemi del settore in un’occasione che invece nasce come vetrina. Resta il nodo, probabilmente insolubile, della “frattura” tra la fase fiorentina e quella toscana dell’appuntamento, con l’inevitabile e faticosa transumanza della stampa da un luogo all’altro in un tour de force oggettivamente stressante: ma se da un lato la logica suggerirebbe di accorpare tutto nell’attrattivo capoluogo regionale, dall’altro è ineccepibile il desiderio delle non meno importanti e non gigliocentriche denominazioni di portare la stampa a visitare fisicamente i luoghi e ad assaggiare i vini laddove questi sono prodotti. Qualche serio dubbio mi resta anche sulla selezione dei giornalisti invitati, che spesso obbedisce a criteri imperscrutabili pure quando il comportamento di certuni appare più che discutibile sotto il profilo della professionalità, trasformando talvolta gli appuntamenti enoici in suk commerciali e in caccia alle consulenze. E idem dicasi quando gli enologi si mescolano ai critici. Chi ha orecchie per intendere, intenda.