Prendi quindici giornalisti italiani e stranieri e mettili prima a tavola e poi in cantina tra il re tirolese del cristallo da un lato e il signore della Langa dall’altro. Una volta tanto non per confrontare vini, ma bicchieri pieni di vino. Il risultato è un’unione di varia umanità capace di comizi, elegie, sottili distinguo, minuzie, facezie. E un condiviso godimento.

In teoria sappiamo tutti, o quasi, che la percezione dell’intensità dei profumi di un vino dipende moltissimo dal tipo e dalla forma del bicchiere nel quale lo si degusta. Siamo un po’ meno, ma comunque in tanti, a sapere che nell’assaggio l’incidenza del bicchiere è tale non solo da poter mutare anche radicalmente questi profumi, ma perfino la percezione dei sapori. Qualcuno sa anche perché ciò avviene e quale importanza il contenitore abbia nell’indirizzare il flusso e la quantità di liquido verso certe parti della lingua (e quindi verso certi sensori) anziché altre, con esiti organolettici fatalmente diversi.
Ma tra conoscere la teoria e sperimentare la pratica c’è una differenza enorme. Abissale direi. Una differenza che, se verificata, stimola il dibattito e invita al commento più di qualunque comunicato stampa.
Dev’essere anche per questo che un paio di settimane fa due indiscussi (e per altri versi discussi) numeri uno nei rispettivi campi, nonché solidi partner in affari, hanno deciso di dare una pubblica dimostrazione di quanto sopra e di ammannire ai giornalisti un vero e proprio seminario di degustazione in cui, una volta tanto, il protagonista non è stato il vino (più correttamente: non solo il vino) bensì il bicchiere.
I due signori in questione sono il tirolese Georg Riedel, patron dell’omonimo impero del cristallo, e Angelo Gaja, re del Barbaresco nonchè importatore per l’Italia dei raffinati prodotti made in Austria.
E i risultati dell’iniziativa, per il tipo di esperienza e per il livello di ospitalità raggiunta, sono stati – bisogna dirlo – non solo sontuosi ma assolutamente piacevoli, oltre che professionalmente utili.
Le ragioni del successo sono state tante. Intanto perché nell’occasione si è parlato a largo raggio di vino, di economia, di paesaggio, di enologia, di filosofia, di impresa e di vita. Poi perché si bevuto bene, tanto di Gaja (Barbaresco 2007, 1999 e 1974; Speers 1988; Magari 2004; Sorì San Lorenzo 1998; Gaja & Rey 1991 e 1997) che non (Yquem 1986: chapeau!). Inoltre perché l’incontro comparativo tra il prestigioso cristallo austriaco e l’indubbia qualità dei vini dell’estroverso produttore piemontese rappresentava, di per sé, un incontro degno di nota. E infine perché l’atmosfera elegante ma tutto sommato raccolta della cena di gala, offerta da Riedel al ristorante La Rei del Boscareto Resort di Serralunga d’Alba (l’architettura è forse criticabile, ma il contorno ambientale è da sindrome di Stendhal e la cucina, curata per l’occasione da Gian Piero Vivalda dell’Antica Corona Reale di Cervere, CN, eccellente) e la riconosciuta capacità di anfitrione di Gaja, che il giorno dopo ha ricevuto gli ospiti in azienda per il test tecnico, non hanno certo deluso. Anzi: hanno sciolto la lingua ai due già ciarlieri protagonisti.
E così, con toni ora piacevolmente comizianti e ora inaspettatamente intimisti, monsù Angelo si è lanciato tanto in proclami contro le “cattedrali del vino costruite dagli archistar” quanto nell’accorata elegia di un solitario pioppo tartufigeno, vero figlio di quella terra, che egli fece espiantare tanti anni fa dai margini di una vigna e che tempo dopo ha rimpianto a tal punto da convincersi a far circondare sempre di alberi i propri vigneti. Mentre, da parte sua, herr Georg non ha lesinato particolari sui motivi per i quali, ha affermato, “la bontà del vino dipende non solo dall’uva, dalla cantina, dalla vendemmia e dallo stile del produttore, ma anche dal bicchiere. Che è uno strumento a disposizione di chi ama il vino. E che per questo non è solo forma, ma anche sostanza”.
Non è mancato chi, in tanto brillante motteggio tra due ospiti dalla personalità così ingombrante, ha voluto vedere un eccesso di gigioneria. Può anche darsi. Ma certo, se c’è stata, non è stata una gigioneria fastidiosa. Bastava farne buon uso. E soprattutto il duetto non ha intaccato di un millimetro il valore intrinseco della seduta comparativa, nè la piacevolezza dell’appuntamento nel suo insieme.
Anche se, lo ammetto, sprecare in un bicchiere di plastica, così tanto per prova, due dita di Barbaresco 1999 e di Gaja & Rey 1998 un po’ mi è costato…