Dimezzati i colori, media la qualità, dimezzati i vini (nel senso che una percentuale esagerata erano campioni da botte e pertanto si sono dimezzati anche gli assaggi del vostro cronista), dimezzati in prospettiva (se nel 2011 i tre rossi si concentreranno alla Leopolda) i problemi logistici. In attesa di maggio, con Bolgheri e la costa, si è conclusa la prima fase della tradizionale maratona enoica con Vernaccia, Chianti Classico, Nobile e Brunello. Ecco alcune considerazioni.
Alla fine, strano a dirsi, pare che ci siamo trovati tutti d’accordo o quasi. Sarà per l’evidente metamorfosi stilistica in corso, sarà per la crisi che ha reso ognuno – dai produttori ai giornalisti – più sobrio, ma la prima fase delle anteprima 2010 dei vini toscani (la consueta maratona che a metà febbraio mette in fila i tre rossi per definizione con il bianco senese che si “aggancia” al treno) si è conclusa senza scossoni, senza tonfi clamorosi nè acuti esaltanti. Almeno se si esclude il colpo basso delle multe a orologeria vibrato dal Comune di Firenze ai partecipanti alla cena del Chianti Classico di martedì 16/2. Di questo, però, vi abbiamo già polemicamente riferito a parte.
Continua, va detto, anche la ormai stucchevole, sebbene in fin dei conti inoffensiva, mascherata che i consorzi del Nobile e del Brunello vogliono portare avanti dando le “stelle” all’ultima vendemmia (quattro, per la cronaca, quelle attribuite all’annata 2009), con valutazioni standardizzate al rialzo e poi puntualmente deludenti una volta “trasformate” in vino concreto. Forse l’inutile cerimonia andrebbe almeno ripensata e resa più credibile.
Cresce poi – e qui si comincia a entrare nel merito – anche la tendenza dei produttori, che personalmente non condivido, a portare in degustazione non vini “fatti” (o almeno con un po’ di vetro alle spalle), ma campioni da botte. Circa la metà dei Chianti Classico e dei Nobile, ad esempio, appartenevano a questa seconda categoria.
Ora, non posso negare che ci sia un’ampia schiera di giornalisti legittimamente interessati, per ragioni intrinseche al loro lavoro, a degustare questi campioni. Quindi è giusto che i prodotti ci siano. Ma è la loro ormai debordante quantità che mi pare comunque diventata un fatto patologico. Anche qui, dunque, forse qualcosa andrebbe ripensato: “anteprima” non può diventare sinonimo di “test di campioni da botte”, sennò tanto vale intendersi prima ed essere chiari fin dall’inizio.
Tra le cose in corso di aperto e saggio ripensamento c’è invece la logistica. Se infatti l’organizzazione comune del roadshow tra i consorzi di Chianti Classico, Nobile e Brunello ha portato negli ultimi anni un indubbio miglioramento, il nodo delle sedi, degli enormi quanto inutili costi che esse comportano e comunque della loro finale inadeguatezza ad ospitare le delicate sessioni di assaggio e servizio, rimane.
Già prima della kermesse correva voce, poi confermataci di persona dal direttore del Classico, Giuseppe Liberatore, che fossero in corso avanzate trattative tra i consorzi per concentrare, nel 2011, almeno tutte le degustrazioni per i giornalisti nell’unico spazio rivelatosi sotto tutti i punti di vista adeguato alla bisogna: la Leopolda di Firenze, location oggettivamente ideale dal punto di vista tecnico, climatico ed architettonico. Una scelta difficile da fare, ovviamente, perchè è comprensibile che i produttori desiderino non solo far assaggiare alla stampa i propri vini, ma anche mostrargli il loro territorio. Da qui l’ipotesi di una tre giorni “fiorentina” con tutti e tre i consorzi e di una coda sul territorio per i soli giornalisti desiderosi di visitare anche aziende e vigneti. Strano però che poi Federico Carletti, il presidente del Nobile, nel salutare la stampa abbia dato ancora appuntamento a tutti l’anno prossimo nel posticcio “Palanobile” allestito in piazza Grande a Montepulciano. Boh…
Nulla cambierebbe invece nella formula delle anteprime della Vernaccia, che da anni ha ormai imboccato con decisione la strada non del confronto, ma dello scambio di esperienze (a mio parere proficuo e ricco di interesse giornalistico) con i viticoltori di altre grandi denominazioni di bianchi francesi. Quest’anno, con la scelta di un partner forse meno impegnativo (Pouilly Fuissè) che in precedenza, è stato evitato anche l’imbarazzo dei paragoni troppo squilibrati e riportato al centro dell’attenzione il dibattito su una docg che, come ha sottolineato la neopresidente Letizia Cesani, trova la sua dignità non solo nei vini da degustazione, ma anche nella produzione commerciale. Un’ammissione-dichiarazione che le fa onore e sgombra il campo dalle ipocrisie.
Ed ora parliamo dei vini.
Ne parliamo poco, però. Per tre ragioni. La prima è che molto più puntualmente e approfonditamente del sottoscritto lo hanno già fatto altri esimi colleghi, col giudizio dei quali mi trovo perfettamente in sintonia. Il secondo è che la scelta di evitare i campioni da botte mi ha costretto di fatto a “saltare” una percentuale molto alta dei vini in degustazione. La terza è che, come sempre, le mie degustazioni (assolutamente cieche) puntano più a individuare le tendenze delle denominazioni che non a circoscrivere pregi e difetti delle singole etichette.
Diremo allora che nulla di nuovo si è scoperto a San Gimignano, dove l’encomiabile tentativo di recupero di identità e di qualità compiuto da un certo numero di produttori deve fare i conti con le legittime scelte altrui di battere la via della produzione di massa e del “fatturato”. Luci e ombre, quindi, in un’altalena che alla fine sarebbe pure divertente se di mezzo non arrivassero i discutibili rossi, vini che, devo ammettere, il sottoscritto trova tutt’ora senza capo, nè coda, nè logica.
Molta più coerenza tra i pur numerosi Chianti Classico, un vino in cui (parliamo del 2008) la “stretta” stilistica si nota fortemente. Le marcate differenze tra i diversi produttori alla fine ci sono così sembrate dirigersi, sotto il profilo del risultato qualitativo, verso una certa uniformità. Uniformità che non è certo parsa mediocrità, ma che ha ci ha anche impedito di rintracciare, salvo rarissime eccezioni, gli acuti a cui eravamo abituati. Vini buoni senza boom, insomma. Detto questo, una parola va spesa invece per il livello dell’organizzazione e dell’accoglienza, che indubbiamente è stato all’altezza delle aspettative e forse anche oltre. Bravi, non c’è che dire.
Impressioni interlocutorie anche dal Nobile 2007, complice la già accennata eccedenza di camponi da botte rispetto ai vini imbottigliati. Anche a Montepulciano ciò che più si è notato è la continuazione della tendenza all’impallidimento cromatico di vini che poi, al naso e in bocca, si attestano su livelli di qualità media, con eccellenze ancora più rare di quelle individuate nel Gallo Nero. Niente di pessimo, molto di discreto, nulla di eccezionale: un livellamento che un po’ fa pensare e, diciamolo, un’influenza ancora pesante dell’uvaggio.
Anche perchè la medesima sindrome da sbianchettatura si è in parte riscontrata a Montalcino, dove lo “schiarimento” dei vini proposti, già notato nel 2009, è stato addirittura impressionante. Vero che il 2005 non è una grande annata e che pertanto la mancanza di struttura non ha aiutato i produttori sul versante qualitativo: la presenza però di vini piacevoli, pronti, a tratti quasi freschi, con toni, profumi e colori molto smorzati (il che non è sempre un male, sia chiaro) rispetto al passato recentissimo è così spiazzante da far pensare che, forse, anche nel Brunello la fase di trasmutazione stilistica sia lungi dall’essersi conclusa.
Prime considerazioni da approfondire e risoppesare, sia chiaro. Ma tanto ci premeva proporvi, in attesa delle vostre controdeduzioni ovviamente…