E’ una storia toccante: nel 1935 i genitori di un caduto della Grande Guerra cedono la casa di famiglia, a condizione che la camera del figlio rimanga immutata per 500 anni, chiunque siano i proprietari. E’ passato un secolo. E tutto è ancora uguale.
Eravamo abituati ai ghiacci dell’Adamello. Che, con il progressivo addolcirsi del clima, nei decenni avevano piano piano rivelato i miseri rifugi in quota degli alpini e, spesso, ciò che restava dei loro temporanei abitanti. Dispersi di ambo i fronti e di un tempo ormai lontano. Quello delle tempeste d’acciaio, oltre che di neve.
Caduti inghiottiti da ghiacci rivelatisi meno perenni di quanto poteva sembrare. Ma tenaci quanto bastava per sottrarli per sempre alla pietà di mogli, fidanzate, figli, genitori. E, quindi, al ricordo.
L’altra faccia dei morti senza piastrino e degli eroi senza medaglia.
Anche prima che scoccasse il centenario della Grande Guerra, le cronache erano periodicamente scandite dal racconto di baracche affiorate dal gelo, di artiglieri ancora aggrappati ai loro cannoni, di scarponi, gavette, foto ingiallite, rasoi e baffi all’insù.
Ma non mi era mai capitato di sentire una storia toccante come quella che, giorni fa, ha raccontato (qui) un articolo de La Nouvelle Republique intitolato: “La camera mummificata di un giovane ufficiale“.
E’ la vicenda del sottotenente, o meglio la vicenda della camera del sottotenente dei dragoni Hubert Rochereau, classe 1896, morto nelle Fiandre il 25 aprile 1918 e poi decorato con la Legion d’Onore.
Rochereau era di Bélâbre (Indre), un borgo della Francia centrale non lontano da Poitiers.
Per volontà dei suoi genitori, la stanza era rimasta tale e quale lui l’aveva lasciata prima di partire per l’ultima volta. Con un particolare, però: nel 1935, quando i coniugi Rochereau decidono di vendere la casa ai signori Fabre, decidono di inserire nel contratto una clausola speciale. La camera appartenuta a Hubert doveva rimanere intonsa, così com’era, per non meno di 500 anni. Chiunque ne fosse diventato, in futuro, il padrone.
“Era una condizione priva di reale valore giuridico“, ha raccontato al giornale Daniel Fabre, nipote del compratore e attuale proprietario dell’edificio. “Ma i miei nonni decisero comunque di rispettarla. E lo stesso ho fatto io“.
Così, per un secolo, la camera del sottufficiale è rimasta in silenziosa attesa. E nel ricordo del suo antico abitante: il letto di ferro, i libri, i diplomi militari, le divise, i ritratti, le pipe, le sigarette, tutto uguale.
Un monumento domestico ai morti di quella guerra. E forse, come scrive il cronista di NR, una sorta di reliquia.
Una reliquia ammobiliata.
E ora che la storia è venuta a galla, che succederà?
“Non ci abbiamo ancora pensato“, dice il signor Fabre.
Nell’attesa, lo spirito del sottotenente dei dragoni Hubert Rochereau continua ad aleggiare dietro a quella porta, forse neppure mai chiusa a chiave.