Rispondo alla contestazione mossa in privato da un collega sul post circa la situazione professionale dei giornalisti emersa nell’ambito degli Stati generali dell’informazione turistica dei giorni scorsi.

 

Ho ricevuto molti commenti, tutti purtroppo privati, al mio report di giorni fa sul tavolo dedicato alla sostenibilità in occasione degli Stati generali dell’informazione turistica tenutisi giorni fa a Milano.
Tra i più singolari c’è quello di un collega, secondo il quale non esisterebbe il problema della sostenibilità della nostra professione.
Gli rispondo qui, pubblicamente, dicendo che occorre innanzitutto capirsi su cosa si intende per sostenibilità.
Se per tale, limitandoci a quella ambientale, si intende l’insieme di comportamenti individuali necessari, diventando collettivi, a limitare lo spreco delle risorse naturali, la riduzione del consumo di suolo, la tutela della natura, la riduzione dell’inquinamento, etc. non c’è dubbio che anche noi si possa fare la nostra parte.
Ma non credo proprio che il mio interlocutore si riferisse a questo.
Né alla sostenibilità sociale della professione, per la quale invece, alla luce delle drammatiche tendenze su occupazione, tutele sindacali, previdenza, etc. le preoccupazioni sono già più che legittime.
Egli parlava di una sostenibilità più terra terra, più materiale, quotidiana: quella economica. Tradotto:  questo mestiere è ancora in grado di dare un reddito per vivere?
Per questo dico che la sua contestazione mi pare, per usare un eufemismo, surreale.
Sotto quel profilo, è certamente vero che la sostenibilità della nostra professione non esiste. Ma nel senso che essa è diventata economicamente del tutto insostenibile: giornali che chiudono, pensionamenti a raffica, contratti peggiorativi, libera professione abbandonata al massacro e sostituita da un volontariato spesso masochista che, per definizione, non può essere considerato professionale. Quindi, per grottesco che possa sembrare, in molti settori della professione l’unico giornalismo rimasto sostenibile è quello non professionale., ammesso che questo possa ancora essere chiamato giornalismo.
Una realtà drammatica che in vent’anni, non solo nella stampa cosiddetta specializzata (e di sicuro non solo in quella turistica), ha mietuto migliaia di vittime.
E non dovremmo porci il problema della sua sostenibilità?

A me pare, viceversa, che questo oggi sia “il” problema. Un problema totalizzante, senza risolvere il quale dovremo molto presto rassegnarci a un mondo governato dalle reclame.

Contento lui…