di URANO CUPISTI
Ieri, sedici anni fa, mia figlia Ilaria ci lasciava. Ho dedicato la giornata ai ricordi più belli. Lei era una gran viaggiatrice e insieme abbiamo calpestato parecchio mondo. Ecco che ci successe nel Deserto del Gobi, anno 1996.
Fu la notte dei burbiglioni (cioè scarafaggi, in viareggino ortodosso)
Una decina di ghere, o di yurte che dir si voglia (ovvero le tende mongole circolari, costituite da una intelaiatura di bastoni con copertura di pelli di montone), formavano un piccolo accampamento di appassionati viaggiatori nel bel mezzo del Deserto del Gobi. Insieme ad Ilaria ne occupavamo una, nel pieno rispetto degli standard del comfort locale: due divani letto posti uno di fronte all’altro, con coperte variopinte che non avevano mai conosciuto alcun detersivo, poi una stufa di ghisa posta al centro con scarico dei fumi nella parte superiore aperta e a lato un mucchio di escrementi essiccati di cavallo e cammello tagliati tipo mattone come combustibile. Completavano il quadro l’immancabile foto del Dalai Lama con tanto di candeline votive di burro di yak e tappeti di pura lana di pecora, dal caratteristico afrore. Quel mix di “fragranze ” che ci accompagnavano ormai da diversi giorni.
Anzi, a dire il vero, fin dal momento che a Mosca eravamo saliti sull’aereo delle linee aeree mongole con destinazione Ulan Bator.
Quella notte, come tutte le notti, dopo la consueta contemplazione del cielo stellato e accesa la stufa per vincere il freddo pungente del deserto, ci preparammo per dormire.
“Buonanotte pappà” (pappà: così, sempre in viareggino stretto, si dice babbo).
“‘Notte Ilaria“.
Lei, attrezzata di mini torcia, si mise a leggere alcune pagine di una biografia di Gengis Khan. Lo faceva sempre prima di addormentarsi.
Ma, dopo una decina di minuti, nel silenzio della tenda interrotto ogni tanto dallo scoppiettio della stufa, udii una voce.
“Pappà, un burbiglione mi ha attraversato la pagina!”
“Ma chissa che hai visto – borbottai – sarà qualche insettino mongolo!”.
Passano due minuti e lei:
“Pappà, ora ci sono tre burbiglioni che si inseguono sul libro!“.
Allungai la mano sul tappeto per prendere la torcia e sotto il palmo della mano sentii una serie di palline che si muovevano.
Accesi la torcia e…vidi una marea di burbiglioni che si inseguivano sopra i tappeti, salivano sui letti e invadevano le coperte.
“Dammi il Baygon, presto!“, urlò Ilaria.
Gettai lo spray verso di lei che, dopo averlo afferrato, con impeto iniziò a spruzzare.
Ci fu un fuggi fuggi istantaneo.
Feci lo stesso dalla mia parte della tenda.
Bastò un quarto d’ora per decretare la fine delle ostilità: “Stop alla guerra chimica!“, gridai dopo aver accertato la ritirata del nemico su tutti i fronti.
Ilaria prese la coperta, la scosse dai copiosi caduti che il nemico aveva lasciato sul campo di battaglia, spense la torcia e ambedue tornammo nel silenzio profondo del deserto, immobili ad ascoltare il borbottare della fiamma, senza pensare alla natura di quello che stava bruciando e cercando solo il sonno.
“‘Notte pappà“.
“‘Notte Ilaria“.
Era una grande viaggiatrice.