Il destino della guida turistica più famosa del mondo sembra segnato, dopo un decennio di vertiginosi cali di vendite. Se davvero avverrà, sarà la fine di un’epoca (compresa la nostra). E della “solitudine del viaggiatore”.
Il suo era il sistema di rating di alberghi ed ostelli che, nella mia ahimè lunga carriera di giornalista di viaggi, più di tutti mi era rimasto impresso: quello “a lenzuola“. Un lenzuolo per lo standard qualitativo minimo, cinque per quello massimo.
Mi aveva colpito mica per la pur originale scelta dei simboli, però. No, ma proprio per il gradiente di valori prescelto: dove “un lenzuolo” equivaleva più a meno a un pagliericcio lurido. Che tuttavia, secondo gli estensori della guida, risultava comunque accettabile per chi affrontava una vacanza in qualche paese considerato molto esotico e, pertanto, più meritevole degli altri di essere visitato con qualche disagio. I “cinque lenzuoli” abbracciavano invece, senza soluzione di continuità, una scala che andava da un normale hotel a quattro stelle a un cinque stelle lusso. Tanto, per loro, sempre lusso un po’ superfluo era.
Leggendaria Lonely Planet, con il suo pauperismo aprioristico e vagamente radical chic elevato a stile di vita. Con la sua fissa che ogni vacanza dovesse essere per forza on the road. Con le sue interminabili sezioni dedicate – mania tipicamente anglosassone – alla minuziosa descrizione delle più improbabili malattie tropicali contraibili ai quattro angoli del pianeta e alle relative cure. Per non dire dei capitoletti sempre più ampi, via via che il politically correct si insinuava anche tra i requisiti del viaggiatore “giusto”, riservati ai viaggi per gay e donne sole. Incrollabile, poi, l’idea dei pasti concepiti come semplice momento di alimentazione (“economico” e “nutriente” erano non a caso gli aggettivi più gettonati, mai che un ristorante fosse consigliato perchè si mangiava bene: al contrario capitava che un locale fosse sconsigliato perchè costoso, sebbene ottimo). Le camere con il bagno in comune erano segnalate di frequente, e spesso raccomandate, in quando considerate un’opportunità di socializzazione (il che tutto sommato, in quell’ottica, aveva anche una sua coerenza).
Eppure, fino a dieci anni, fa a nessuno sarebbe venuto in mente di partire senza aver comprato, o almeno consultato, la Lonely Planet. Si poteva non condividerne la filosofia di fondo, sorridere dei suoi chichè, ma nessuno ne discuteva l’affidabilità e l’autorevolezza.
Coll’evolversi dell’industria turistica, però, e la fine dei viaggi-avventura, con i repentini cambiamenti socioeconomici registrati in quasi tutti i paesi del mondo, con l’avvento della rete come fonte di informazioni aggiornate quasi in diretta, in un paio di lustri anche il business delle guide turistiche si è drasticamente ridotto.
E con esso è andata in crisi pure la guida delle guide, la Lonely Planet appunto.
Quella fondata nel 1972 – specchio dei tempi, davvero! – da Tony e Maureen Wheeler. Un fenomeno editoriale planetario. E capace per un trentennio di fungere da paradigma, da punto di riferimento.
Oggi invece, si legge su Corsera (qui), la LP è addirittura a rischio di chiusura. In tre anni le vendite sono crollate del 30%. I licenziamenti fioccano.
Si dirà, ed è vero, che tutte le epoche si aprono e si chiudono e che anche quella della Lonely Planet è giunta al capolinea, di pari passo con un modo di viaggiare reso obsoleto dalla sempre maggiore rapidità dei mezzi di trasporto, dall’accelerazione della tecnologia e del virtuale, dall’abolizione di quella che si sarebbe potuta chiamare “la solitudine del viaggiatore“. Cioè l’esistenza di vaste regioni del globo sostanzialmente isolate, o nel quale era possibile isolarsi: dalle telecomunicazioni, dalla rete stradale, da tutto.
Ora, del resto, per sentirsi soli non c’è bisogno di affrontare perigliose esplorazioni.
Basta andare nel primo bar sotto casa e mettersi al bancone spippolando via telefonino, come tutti gli altri avventori, sui social network, in un mondo sovrappopolato che, grazie alla tecnologia spinta, si è per paradosso riempito di soggetti di fatto autistici.
Del resto, almeno in Italia, navigatori eravamo e navigatori siamo rimasti. In un pianeta che non è più solitario ma, al massimo, solo.