Si doveva assaggiare l’Animante, bollicina-simbolo dell’azienda franciacortina, ma Silvano Brescianini ha divagato: ne è venuta fuori una lezione di imprenditoria consapevole finita in Erbamat e Carignano Nero…
Giorni fa il nostro gruppo Igp ha fatto una bella degustazione via zoom di tre versioni (extra brut e dosaggio zero) di Animante, uno degli spumanti di punta (circa 90mila bottiglie annue su 300mila totali, 80% circa Chardonnay, 15% circa Pinot Nero, 5% Pinot Bianco e dalla vendemmia 2021 anche un po’ di Erbamat) di Barone Pizzini.
Alla fine però più che di vino – peraltro ottimo: ne dico brevemente in fondo a questo pezzo – si è parlato di quello che c’è intorno. In Franciacorta e non.
In particolare, il torrenziale patron della cantina lombarda, Silvano Brescianini, ha tenuto una sorta di monologo sulle motivazioni più profonde dell’antica scelta aziendale (1994) di aderire al metodo biologico.
Detto così, pare la premessa di un excursus noiosissimo.
Invece è stato il contrario: una sorta di minilectio magistralis che tutti i produttori vinicoli dovrebbero avere l’opportunità di ascoltare.
Perchè ciò su cui Brescianini si è dilungato non è stato l’aspetto tecnico-agronomico e neppure il suo opposto, quello promocommerciale della filosofia “organic“, bensì lo sforzo di coerenza e di applicazione che un’impresa deve compiere per trasformare la propria adesione al bio dall’apposizione di un semplice bollino di garanzia da ostentare in etichetta a un’integrazione totale, quasi identitaria, tra tecniche di produzione, prodotto, azienda e marchio.
Il racconto della progressione logica, ma non priva di momenti emotivi, che ha portato quest’imprenditore indubbiamente lungimirante, passato ventisette anni fa da venditore-consumatore a produttore di vino, a prendere coscienza delle contraddizioni tra un’agricoltura di eccellenza e il ricorso a una filiera insidiosa e piena di chimica, dal campo alla capsula, è stato illuminante per lucidità, determinazione, uso del buon senso.
Un cammino irto di aneddoti in progredire: dallo scarto degli inchiostri tossici per le etichette alla scelta di imballaggi di cartone senza pellicola di plastica attorno, dalla decisione di scegliere capsule più sottili e per questo meno appariscenti, in quanto con minore spessore interno di polietilene, al passo di rinunciare al verde del marchio bio in retroetichetta, onde evitare che sembrasse ostentativo.
“Tutte scelte – da detto – che non solo sono state fatte con un certo coraggio e con la consapevolezza di dover affrontare, in conseguenza di esse, un costo economico o una perdita commerciale, ma soprattutto sapendo cher portavano con sè problemi da risolvere concretamente: adeguamenti tecnici, selezione dei fornitori, adeguamenti di packaging e di marketing. In breve, una mole di lavoro molto complessa. Giustificabile solo con la convinzione di essere sulla strada giusta e di doverla seguire coerentemente“.
Questa determinazione di non seguire a priori la via più breve, ma di ingegnarsi per rendere più produttiva la più lunga e difficoltosa, mi è apparsa il segno – al di là del tanto, anzi troppo e vuoto storytelling, che si fa nell’ambiente – di una consapevolezza non comune.
E ora mi sembra giusto sottolinearlo.
Il tutto volato via in un paio d’ore durante le quali abbiamo piacevolmente prima sorseggiato e poi assaggiato con più attenzione il fragrante, quasi croccante Animante Extra Brut (tiraggio aprile 2018/sboccatura marzo 2020) e due versioni del più complesso Animante Dosaggio Zero L.A. (cioè lungo affinamento): l’intensa, importante versione tiraggio aprile 2014/sboccatura marzo 2020) e la sontuosa, a tratti balsamica versione tiraggio marzo 2012/sboccatura luglio 2018).
Fulmen in clausola, la conferma che in Maremma, nei suoi Poderi di Ghiaccioforte, il vulcanico Silvano sta sperimentando il Carignano Nero, vitigno scomparso nell’area dagli anni ‘Trenta del ‘900..
Ce ne saranno da bere delle belle. E bio, si capisce.