I Pittifalli Chaltrons Team hanno festeggiato ieri il trentennale della loro prima vittoria nel torneo “alla meno” più esclusivo d’Italia, la Chaltrons Cup. E hanno invitato anche tutti i vecchi (?) nemici. Noi compresi. Onore al merito di un’iniziativa indimenticabile per spirito e altamente formativa per i “nuovi”. Oltre a un pubblico grazie.
La Chaltrons Cup è, o forse dovrei dire era, qualcosa di più britannicamente selettivo di un circolo di cricket. E di quanto più toscanamente goliardico si possa immaginare.
Un torneo di calcio dove vince non chi è più bravo, ma chi è più furbo. Dove sono ammessi solo gli allievi o gli ex allievi di un antico liceo fiorentino, il Dante, nonché i riconosciuti frequentatori della piazza antistante, piazza della Vittoria. In cui i bravissimi sono costretti a giocare con gli scarponi, perché il principio sono l’equilibrio (delle forze in campo) e l’eccesso (dei trucchi, dei nomi delle squadre, delle pallonate in tribuna, della foga agonistica e a volte anche degli scontri). Il tutto pervaso da un’etica non scritta che obbliga al rispetto della comunità di appartenenza e ai valori fondanti della tradizione.
In pratica, un Palio di Siena in cui le contrade sono le squadre e in cui la Piazza del Campo sono (erano, ma spiritualmente restano anche nell’epoca dell’erba sintetica) i polverosi campi di periferia con gli spogliatoi di compensato.
In quasi mezzo secolo di vita, la Chaltrons ha dato vita a rivalità epiche.
Che nel tempo, senza mai sopirsi, si sono trasformate nella consapevolezza condivisa da tutti di aver appartenuto, e anzi di appartenere, a un cosmo irripetibile, dove le somiglianze e le valenze sono di gran lunga più grandi delle pur profonde divisioni.
Scrivo tutto questo perché voglio dare oggi pubblico riconoscimento ai “nemici” di ieri e (lo dico a loro onore) anche di oggi per un evento memorabile che si è svolto ieri sera, quando un gruppo di più o meno cinquantenni si è riunito a celebrare i trent’anni dalla prima vittoria dei Pittifalli Chaltron’s Team.
Memorabile perchè i Pittifalli hanno avuto la sensibilità di invitare alla festa non solo tutti i “loro”, il che era ovvio, ma anche gli “altri”. Quelli insomma con cui decine di volte se ne sono date di santa ragione, si sono odiati, reciprocamente dileggiati, ingannati, guardati di traverso (e con cui certamente, se si trovassero col pallone tra i piedi, lo farebbero ancora), cioè gli avversari “storici”.
Quorum ego, nos immo.
Nella giusta miscela di amarcord e di dissacrazione, tra i ciuffi dei capelli grigi e la curiosità delle nuove generazioni venute a vedere come eravamo, vecchie coppe e maglie d’epoca sulle spalle, mogli e figli (nel frattempo divenuti chaltroni anch’essi o sulla via per diventarlo), tutto si è celebrato fino a notte fonda.
Nei momenti topici delle gallerie fotografiche e nelle rievocazioni di chi non c’è più, non posso escludere che a qualcuno, sotto una spessa coltre di ironia e di nostalgia, sia scappata qualche lacrimuccia. Ma questo fa parte del gioco.
Si è trattato di uno straordinario esempio di continuità e di coesione per i quali, a nome mio e di tutti i “miei” (peraltro lì ben rappresentati), pubblicamente mi congratulo con i Pittifalli, ringraziandoli uno per uno.
Ricambio dedicando loro, con pari significato, i sensi del nostro motto: “Egli sentiva dentro di sè la giovinezza come una corda ancora capace di reggere lo sforzo” (Federigo Tozzi).
PCESVG!
PS: questo post è dedicato alla memoria di Maurizio Tortoli (1946-2012)