L’Ordine dei Giornalisti lancia l’allarme sui possibili condizionamenti dei redattori soggetti a minaccia di licenziamento. Ma finge di non vedere la pletora di sottopagati fuori dalle redazioni che, versando in costante stato di necessità e rappresentando la maggioranza della categoria, è già di per sè un concreto vulnus alla corretta informazione.
Io capisco.
Capisco tutto, vi giuro.
Capisco le ragioni di opportunità, le leggi non scritte, il consociativismo delle idee, le ipocrisie necessitate, quei riti proclamatorii un po’ vieti ma rassicuranti, come i buoni propositi per l’anno nuovo fatti a San Silvestro e le autoassoluzioni concesse un tanto al chilo.
Arrivo a capire – seppur con qualche sforzo, lo ammetto – perfino certi equilibrismi della correttezza politica, perché in fondo viviamo in un mondo conformista, dove la compiacenza mia fa da sponda alla tua e in fondo è bello far finta di illudersi che tutto sia come si tenta di convincersi che sia.
Ma c’è anche un limite. Una soglia del sopportabile.
Leggo ad esempio che il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, massima assise di un’organizzazione che io, nonostante tutto, continuo a difendere, riunito a Positano (le ironie sono fioccate, inevitabilmente), avrebbe oggi, a proposito della riforma del mercato del lavoro, approvato all’unanimità un ordine del giorno di questo tenore: “Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in merito alle ipotesi di riforma del mercato del lavoro proposte dal governo esprime forte preoccupazione per le possibili conseguenze che potrebbero interessare il sistema dell’informazione. La nuova disciplina sui licenziamenti, rischia di incidere pesantemente sull’autonomia del giornalista e di conseguenza sul diritto dei cittadini a essere correttamente informati come garantito dalla nostra Costituzione. Strumenti per affrontare le crisi economiche non possono determinare ulteriori esodi di giornalisti senza un percorso oggettivo di analisi e verifica della situazione reale e della progettualità delle aziende. Si lascerebbe, infatti, in mano agli editori uno strumento del tutto discrezionale in grado di condizionare pesantemente l’esercizio della professione giornalistica. Il Cnog si impegna dunque a rappresentare in tutte le sedi gli effetti ed i rischi di una normativa che può avere un pesante impatto su un sistema fondamentale per la democrazia del Paese“.
Come?
Secondo il supremo organismo giornalistico l’indipendenza dell’informazione dipenderebbe insomma, detto in soldoni, dal rischio – evidentemente inteso come costante minaccia – di licenziamento a cui, in base all’approvanda normativa, sarebbero sottoposti i cosiddetti “contrattualizzati”. Cioè quelli col posto fisso. I quali, per evitare di trovarsi a spasso, sarebbero in qualche modo costretti ad obbedire agli ordini disinformativi del “padrone”.
Non ci posso credere.
In un mondo in cui le redazioni sono state trasformate (col beneplacito del sindacato e il silenzio distratto dell’Ordine) in uffici burocratici, con i 2/3 dei giornalisti in attività tenuti fuori da esse a produrre i 4/5 del pubblicato in cambio praticamente di nulla (e versando quindi in permanente stato di necessità economica, oppure scrivendo per hobby e quindi senza alcuna reale necessità di mantenere il posto), quelli sottoposti al ricatto o – diciamolo! – alle sirene di marchette, corruttela, cointeressi, conflitti, etc sarebbero i redattori?
Ma cari colleghi, stiamo scherzando?
Perché fate finta di non vedere o di non sapere che, per sbarcare il lunario, c’è una fetta amplissima degli autonomi disposti a lavorare per due spiccioli che “triangola” (o, per ragioni di sopravvivenza, è costretto a triangolare, anche se la sostanza non cambia) con attività deontologicamente poco lecite come i compensi in natura, le pr, gli uffici stampa più o meno occulti, i marchettoni a buon rendere, i corrispettivi sottobanco, le consulenze trasversali? Lo sanno anche i sassi che l’indipendenza economica è il fondamento della libertà del giornalista e che, tra tutti i giornalisti, i meno economicamente indipendenti, perciò ricattabili, sono proprio i collaboratori, gli esterni, gli autonomi. O no?
Insomma, per le vie sopra indicate il temuto condizionamento esiste già. E in molte redazioni si è ben lieti di subirlo, lavandosi la coscienza col fatto che, materialmente, il misfatto viene compiuto dal collaboratore. Sul quale, secondo i casi, a volte si chiude un occhio, spesso se ne chiudono due ed altre, se è necessario, si scarica invece tutta la responsabilità.
Accade allora che nella sua nuova, surrogatoria (e pur da me plaudita) veste parasindacale, l’Ordine comincia una giusta battaglia, ma dal punto sbagliato. Cioè cavalcando l’onda politica della protesta antigovernativa pro forma contro i condizionamenti cui andrebbero incontro i più garantiti, e quindi relativamente indipendenti di tutti: i contrattualizzati. Notando insomma la pagliuzza e ignorando la trave. Ovvero la mole di notizie provenienti “gratis” o quasi dall’esterno e che, spesso senza alcun controllo, vanno in pagina come se nulla fosse, portando dentro anche le informazioni più varie, distorte, manipolate, eterodirette. E senza che nessuno gridi o si indigni per questa forma nemmeno troppo surrettizia di condizionamento.
Stupisce anche che l’apparentemente agguerrita e ampiamente maggioritaria componente di “autonomi” del CN abbia sottoscritto un abbaglio così parziale e marchiano.