C’era un volta Concita De Gregorio detta Concitina, “santino” della sinistra e paladina comiziante (a parole, appunto) di precari, disoccupati, sottoccupati, inoccupati. Poi, d’accordo con l’editore, lei lascia l’Unità e dalla viva voce dei collaboratori si scopre una verità. Ben diversa da quella “giusta” tanto predicata.

Lascio la parola alla collega Valeria Calicchio, a lungo collaboratrice de “L’Unità” a 20 (venti) euro a pezzo. Il suo intervento per intero, pubblicato sul blog, lo potete leggere qui.
Questa è solo una sintesi, ma basta a farsi un’idea di come vadano le cose e di come giri il mondo dell’informazione. A tutti i livelli e di ogni colore.

E’ ormai notizia certa che la direttrice dell’Unità, diva e donna, Concita De Gregorio, lascerà entro un mese la direzione del quotidiano fondato da Gramsci. E fin qui, tutto regolare. Capita che i direttori lascino o siano licenziati. Quello che proprio non capisco è la reazione di gran parte del popolo della sinistra. Non capisco i messaggi di solidarietà strappalacrime, non capisco chi grida al complotto ordito dai perfidi dirigenti del Pd, in primis D’Alema, che anche se non gode della mia massima stima, questa volta davvero mi sembra estraneo al fatto. Non capisco perchè dobbiamo sempre ornarci di finti profeti e di santini da incensare.
Poi ho capito perchè succede questo. Perché tanti non sanno come funziona, come vanno le cose realmente anche a sinistra, in quella dei salotti soprattutto. Io lo so, adesso lo so. Ma prima ero come loro. Prima di voler diventare giornalista, prima di aver fatto stage in redazioni di mezza Italia, prima di aver visto fabbricare i santini, prima di aver camminato per i corridoi dell’Unità. E allora proverò a spiegare io perché Concita De Gregorio va via, lascia la direzione e con tutta probabilità torna a Repubblica. E soprattutto perché non è un “santino”.
Tre anni fa alla guida dell’Unità, c’era Antonio Padellaro. Dall’arrivo della De Gregorio sono stati spesi molti milioni di euro per ideare la nuova veste editoriale dell’Unità (2,5 milioni solo a Toscani per una ridicola campagna di promozione) e il risultato è stato che si è passati dalle 60 mila copie di Padellaro alle 35 mila dell’ultima gestione. La De Gregorio, come molti direttori fanno anche in maniera legittima, ha portato con se una serie di collaboratori in redazione. Il problema è sorto quando ha emarginato parte dei giornalisti storici della testata e delle migliori firme per far posto ai suoi nomi, senza preoccuparsi delle gerarchie, del merito e dell’anzianità. Morale della favola: una gestione nepotistica del giornale ha portato in brevissimo tempo all’addio o all’epurazione sommaria di nomi come Travaglio, Fierro, Beha.
Poi quaranta giornalisti vengono buttati fuori da un giorno all’altro. Una vertenza durissima che vede la De Gregorio assolutamente immobile. Di molti non sa nemmeno il nome, forse nemmeno legge gli articoli che quotidianamente pubblicano sul suo giornale per 20 euro lordo a pezzo (pagate a 90 giorni forse, ma più realisticamente a 120). E’ per loro che in questo momento, più di ogni altra cosa, un dettaglio proprio non mi va giù: nel suo ultimo editoriale la De Gregorio, con sprezzo della vergogna, scrive “abbiamo attraversato lo stato di crisi aziendale rispettando con coscienza i patti che avevamo firmato, abbiamo combattuto le rendite di posizione, abbiamo messo in sicurezza i precari di antica gestione, non ne abbiamo creati di nuovi, abbiamo sostituito le maternità, abbiamo osservato con rigore la legge“.
Questo no, direttora, non lo posso sopportare, grida vendetta. Non avete rispettato la legge, non avete normalizzato i precari, non li avete messi in sicurezza, come si fa con le case terremotate. Li avete costretti ad andare via o a sottostare al ricatto della collaborazione. Mentre lei diventava un santino, mentre andava a tutte le manifestazioni e in tutte le tv a parlare di precari, di giovani e di lavoro. Il giornale di Gramsci è diventato in tre anni l’ombra di un free press. Mi hanno insegnato che quando la nave affonda, l’ultimo a lasciarla è il suo comandante. Ma oggi funziona diversamente: il comandante va via su uno yacht, parlando di come sconfiggerà le avversità e i nemici del popolo su un’altra nave. E va bene anche questo. Solo avrei gradito un pò di dignità in più. Per rispetto di quelli che affronteranno il naufragio da soli, senza nemmeno l’aiuto di un santino da incensare.