di GIULIO VOLONTE’
Nel 2017 Report sollevò dubbi sull’affidabilità delle certificazioni equosolidali di FairTrade sui prodotti Coop. Un cronista-socio ha chiesto loro se, nel frattempo, avessero fatto delle verifiche. Risposta: “No, ci fidiamo“. Ma il cronista-socio non è soddisfatto…
Lo scorso 21 giugno, su RAI3, è andata in onda la replica di un’inchiesta di Report del 2017 dal titolo “Cioccolato amaro”, dalla quale si evinceva, in modo abbastanza chiaro, che le società che si occupano di certificare i beni prodotti da aziende che si comportano in modo etico, equo e solidale, a meno di smentite altrettanto documentate, non sono in grado di dare garanzia assoluta rispetto ai prodotti che certificano.
Tra queste aziende certificatrici, anche FairTrade. Un marchio che conosco bene, perché quando vado a fare la spesa scelgo spesso i prodotti Coop che riportano anche il logo FairTrade.
Come cittadino, consumatore, giornalista e socio Coop ho dunque sentito il bisogno di vederci più chiaro e mi sono chiesto: come si è comportata Coop dopo questo servizio? Hanno sempre dichiarato di fondare le proprie scelte su etica e valori e ne hanno fatto un plus in termini di comunicazione. Così ho sempre sperato, e continuo a sperare, in giuste scelte strategiche ed operative.
Così, dopo aver sollecitato senza fortuna una loro risposta sui social, ho scritto a diverse associate al sistema Coop Italia ed ho posto la domanda direttamente a loro.
In tempi brevissimi ricevo una cortese risposta nella quale, oltre a farmi notare che il servizio era una replica (ma, ripeto, questo non risolve il problema, casomai lo complica), mi spiegano, allegando alcuni link, che FairTrade si era già premurata, a suo tempo, di rispondere ai dubbi sollevati da Report.
“Grazie, ma la mia domanda“, faccio notare al servizio clienti, “non era su cosa fece allora FairTrade, bensì su cosa ha fatto dopo Coop” per verificare che Fair Trade svolga correttamente il lavoro per il quale quale viene pagata? Penso infatti che un’azienda che fa del rispetto dei valori etici una componente fondamentale della propria identità abbia anche il dovere di non fermarsi alle apparenze.
I dubbi sono stati sollevati sulla società che certifica: chi controlla il controllore? Dal 2017 a oggi Coop ha avuto quattro anni di tempo per compiere le sue verifiche. Che esito hanno dato?
Se non si vuole fermare alla sola utilità commerciale offerta dall’utilizzo del logo FairTrade, Coop Italia deve farsi garante dell’operato del suo certificatore, controllando il fornitore del servizio esattamente come controlla la qualità della frutta e della verdura.
Oltretutto, mentre la qualità dei prodotti è verificabile dal consumatore, almeno in parte, al momento dell’acquisto, la credibilità delle affermazioni di Coop comunicate attraverso il marchio FairTrade è affidata solo alla fiducia che egli ripone in Coop ed alla responsabilità sociale di quella impresa.
D’altra parte, proprio sul loro sito si dice: “È nel prodotto a marchio che si realizza l’impegno di Coop nel rispondere a valori quali etica, rispetto per l’ambiente, trasparenza, sicurezza, bontà e convenienza”. E ancora: “I prodotti Coop sono il risultato della nostra accurata selezione dei fornitori e di un rigoroso sistema di controlli e verifiche”
Bene: con quali risultati? Risultati che Coop stessa, e non FairTrade, deve poi comunicare all’opinione pubblica, assumendosi la responsabilità nei confronti dei consumatori e dei soci Coop delle scelte che fanno e delle rassicurazioni che danno.
La risposta che ho avuto è stata purtroppo un’altra: “Come Coop abbiamo fiducia che FairTrade sia una certificazione seria” […] Conosciamo i requisiti di entrata in questa organizzazione e sappiamo che chi non li rispetta non può essere certificato. Per noi è quindi ancora una certificazione in cui credere”.
Un po’ poco.
“La Coop sei tu“, dice lo slogan.
Quindi lo chiedo di nuovo qui: cosa ha fatto e/o cosa intende fare Coop per verificare che il marchio Fair Trade e, di conseguenza, i prodotti equo-solidali Coop, siano realmente la garanzia di una scelta etica e consapevole?
“Li conosciamo e ci fidiamo” non mi sembra una risposta sufficiente.