di URANO CUPISTI
Terza e ultima puntata del viaggio sulle navi postali in Norvegia, quarant’anni dopo, tra balene, aquile del mare, sami, la Cattedrale Artica, un’Urss che non c’è più e il villaggio con il nome più corto al mondo: Ä.
Durante la navigazione da Bodø alle isole Lofoten, la superficie delle acque fu mossa dal lento e vulnerabile movimento di alcune balene, mentre nel cielo volteggiava una stupenda aquila del mare. È raro assistere contemporaneamente alla presenza di questi due animali.
La M/S Lofoten spense i motori. Un silenzio surreale ci avvolse. Solo il rumore degli sbuffi dei cetacei e il sibilo dell’aquila pronta a tuffarsi sulle prede a fior d’acqua.
Svolvaer mi accolse con un “tanfo” di pesce essicato. Quel giorno spirava vento da Nord e la M/S Lofoten ne fu investita in pieno. Tutto proveniva dagli steccati pieni di merluzzi atti a divenire “amati stoccafissi”. File e file appesi ad essiccare.
Il mio programma prevedeva una sosta di cinque giorni alle Lofoten e Vesterålen, per poi raggiungere Tromsø.
Furono giorni trascorsi in un mondo surreale, a partire dall’utilizzo delle Rorbu per dormire, tipiche casette dei pescatori affacciate sul mare. Poi trekking a scoprire “visioni nordiche” che riportassero ai film sui popoli vichinghi, il Lofotr Viking Museum e alla visita del villaggio con il nome più corto al mondo: Ä.
Alle isole Vesterålen usai l’autostop per trasferirmi a Nyksund e Stø, villaggi di pescatori “fuori dal mondo”. Vissi il piccolissimo borgo di Stø, inserito in uno scenario da cartolina, dove gustai la magia del sole di mezzanotte. Ricordo indelebile inserito nello spettacolo selvaggio delle Vesterålen, fuori dai classici percorsi turistici e forse per questo, ancora più bello.
A Sortland ritrovai la mia Hurtigruten preferita: la Nordstjerner e fu come tornare a casa. Mi aspettava una navigazione tra isole, fiordi, coste frastagliate ricche di pulcinella di mare, foche, qualche balena e aquile di mare, fino ad intravvedere Tromsø, la Porta dell’Artico.
Anche all’epoca del mio viaggio la città era definita la Porta dell’Artico. Moderna, dove natura e cultura andavano di pari passo. Clima gradevolissimo d’estate con tanta, tanta vita all’aria aperta a tutte le ore. Outdoor a due passi dal centro per ogni tipo di svago e la sera frenetismo notturno sotto i raggi del sole, nei numerosi pub dove bere rigorosamente birra Mack Ølbryggeri, che in città è una vera e propria istituzione: fantastico.
La Cattedrale Artica, Ishavskatedralen in norvegese, progettata dall’architetto Jan Inge Hovig completata nel 1965, quattro anni prima del mio viaggio, era già considerata icona di Tromsø. Ricorda una tenda Sami (lapponi) o, per alcuni, la punta di un iceberg. Una cosa è certa: il nome Cattedrale Artica è quanto di più centrato si possa immaginare. La copertura in alluminio, la splendida vetrata, l’interno con i lampadari di cristallo boemo che sembrano ghiaccioli sospesi e l’organo con i suoi circa tremila tubi.
Tromsø era ormai un ricordo. Navigavo verso nord, per approdare a Honningsvag, sull’isola di Mageroya, dove è stato costruito all’estremità nord, a strapiombo sul Mar Glaciale Artico, una piccola Disneyland in miniatura, Nordkapphallen, con tanto di negozi di souvenir, ristorante, tavola calda, anfiteatro dove si può assistere a proiezioni di documentari naturalistici e l’inevitabile ufficio postale dove acquistare la cartolina per il timbro di annullo e procurarsi, dietro l’allora versamento di Lire 15.000, l’attestato della provata visita a Nordkapp. E l’enorme mappamondo preso d’assalto dai turisti per le foto di gruppo. Per poi sentirti dire che l’estremità del continente europeo è proprio quella punta sulla sinistra, guardando a Nord.
Fuggii subito dalla gente che trovai al Nordkapphallen dirigendomi, nel paesaggio arido, quasi lunare dell’isola di Mageroya, verso una vicina Farm Sami dove trovare il silenzio, la concentrazione e riflettere attorniato solo da renne.
E poi la fuga verso Honningsvag a riprendere il “mio” Postale Hurtigruten e navigare nel Mare di Barents, verso est, per vivere emozioni “sami”.
Infatti, a bordo, solo Sami che si spostavano tra i piccoli porti disseminati fino alla frontiera con l’allora Unione Sovietica, fino a Kirkenes, ultimo avamposto norvegese, capolinea del postale dei fiordi, l’estremo porto del mio lungo viaggio.
Da tanto tempo avevo il desiderio di scoprire l’estremo Nord della Lapponia norvegese, quell’angolo sperduto dell’Europa al confine con l’Unione Sovietica.
Kirkenes, allora piccolo borgo Sami affacciato sul Mar di Barents conosciuto come la porta di accesso per l’Est. Di per se il borgo non offrì molto da visitare, se non una serie di monumenti sulla Liberazione da parte dei sovietici nel ’44 o il Monumento alle Madri della Guerra come omaggio al ruolo svolto dalle donne della città durante la guerra. Ma Kirkenes per me significò attraversare una parte della tundra, raggiungere il minuscolo villaggio di Elvenes e toccare con mano il “cippo”, con tanto di stella, falce e martello, posto al confine.
Aspettai la M/S Nordstjernen qualche giorno ingannando il tempo con gite in barca, corse con slitte su rotelle (non essendoci la neve) trainate dai cani Husky e la scoperta degli usi Sami.
Un giovedì solare alle ore 12,30 lasciai il grande Nord e in sei giorni la prescelta della flotta Hurtigruten mi riportò a Bergen. Non scesi mai a terra. Controllavo la vita di bordo nei porti, gli scenari durante la navigazione, il ritorno nel mondo delle luminose notti stellate di cui avevo nostalgia.
E sull’aereo di ritorno pensai alla delusione di Capo Nord chiedendomi: “Ma quanta gente c’era intorno al mappamondo?“.