Con un’uscita di scena sospesa, e tale rimarrà, tra real politik e action movie, lo sceicco si è confermato uomo buono per tutte le stagioni, alimentando la sensazione di fiction che da sempre ruota attorno alla sua figura. Ora che non c’è più, si può dare il via a tante cose prima imbarazzanti. Ad esempio lasciare l’Aghanistan. O cominciare la campagna elettorale di Obama con qualcosa di fatto (finalmente).
Io, Bin Laden, lo conoscevo bene.
Lo conoscevo bene perché era, ammesso che sia mai esistito, un simulacro. E, come tutti i simulacri, obbediva a certi standard. Che nel mondo di oggi sono quelli della comunicazione, soprattutto visiva. Sempre gli stessi. Nella fisiognomica, nell’agiografia, nell’epifania. Pure nella morte, ovviamente.
A nessuno piace la dietrologia, neppure a me. Ma la dietrologia fa parte di qualsiasi mondo complesso. E il nostro è un mondo senza dubbio complesso. Impossibile quindi non ricamare su questa figura così sfuggente, improbabile, tenuta in vita – ma carsicamente, con lunghe e misteriose pause – per un tempo così lungo, fino a un epilogo dal film d’azione che ha il sapore dell’orologeria, della pianificazione, della strategia. Della regia, insomma.
Su di lui se ne sentono e se ne leggono, come direbbe la Minetti, “di ogni”.
Al tempo stesso e spesso dal medesimo opinionista è stato additato ieri ora come un personaggio ormai in declino, abbandonato da tutti, venduto quasi agli americani, come Saddam, da chi non aveva più interesse a coprirlo ed ora invece come un condottiero in sella, operativo e determinato, la cui morte avrebbe potuto incendiare i focolai quiescenti del terrorismo e sollevare le rivolte delle immancabili “masse”. Si sono viste moltitudini di ragazzetti ipervitaminizzati a festeggiare e ballare in piazza, come se avessero vinto il Superbowl. Che ci fosse da esultare, non lo capisco: la più grande potenza mondiale ci ha messo dieci anni a prendere e far fuori uno che viveva in una villa-bunker di cemento e filo spinato, come un qualunque boss della ‘ndrangheta, con i mobili dell’Ikea e le pastiglie per il diabete sul comodino, senza internet né cellulari. Altro che labirinto di grotte, guerra tecnologica, bombe intelligenti, armi segrete. Se lo sono andati a prendere a mano e l’hanno steso con la proverbiale pallottola in fronte (sempre che il grilletto, si legge oggi, non l’abbia premuto la guardia del corpo per impedire la cattura del capo). Come in Iran al tempo degli ostaggi degli hayatollah, oltre trent’anni fa, i g-men hanno anche rischiato di fare un buco nell’acqua e ci hanno rimesso un elicottero. Precipitato, ammettono loro senza rendersi conto del ridicolo, non perché abbattuto, ma per un guasto tecnico.
Ammesso che sia tutto vero, naturalmente. Cosa su cui non si possono non nutrire dei dubbi.
Si scopre poi che è buono per tutte le stagioni, il vecchio Bin Laden. Sarà mica per questo che, come in una Beautiful che si rispetti, si è deciso di farlo uscire dalla scena lasciandone in sospeso sia il passato e sia perfino il futuro? E’ buono a incendiare i prezzi del greggio e a comprimerli, a far crollare l’oro e a far risalire il dollaro, a mettere una pecetta sulle grandi manovre eterodirette in corso Nord Africa e in Medio Oriente, a rilanciare mediocri leader in cerca di ruolo e di riscatto, a offrire temporanei palcoscenici a politici in ombra. A trovare una buona scusa per ritirarsi finalmente da un pantano politico-militare come quello iracheno ed afgano. E magari a inaugurare la campagna elettorale in vista del secondo mandato di Barack Obama alla Casa Bianca.
Per questo dico che Osama lo conoscevo bene. Lo conoscevamo tutti bene.
Obama 1 – Osama 0, diceva ieri un cartello dei festanti.
Buttiamola così, nel tifo, e fingiamo di essere tutti contenti.