…o meglio quelli che si simulano tali, senza esserlo davvero. Ovvero chi, pur iscritto, non ha la più pallida idea di cosa sia la professione. Si vocifera infatti di abolizione e questi, anzichè argomentare, blaterano come un Laqualunque qualsiasi…

 

Ortorto, anzi obtortissimo collo mi tocca tornare su una questione sulla quale avevo plurime volte giurato di non intervenire mai più. Quella dell’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti.
La “colpa” è del collega Vittorio Pasteris che, mal gliene incolga, su FB l’ha provocatoriamente rilanciata con il seguente post: “L’Ordine dei Giornalisti verrà abolito fra qualche mese nonostante verrà realizzata una dura e inutile battaglia legale per salvarlo? Guardiamo al futuro: che cosa diventerà poi la “categoria” dei giornalisti?“.
Apriti cielo, è venuto giù il mondo delle bestialità.
Sia chiaro: come ho scritto rispondendo a lui, in materia “se ponderata e consapevole, qualunque opinione […] è legittima. Ciò che davvero è insopportabile è il vaniloquio di chi pretende di esprimersi sull’argomento senza avere la più pallida idea della complessità della medesima e, più in generale, dell’informazione. Come se anche uscire da 55 anni di professione regolamentata fosse una bazzecola. Non se ne può di gente che forse, di mestiere, doveva farne un altro anziché questo, di cui con ogni evidenza non sa né ha capito nulla“.
Ripeto e ribadisco.
La riflessione più gettonata tra i commenti è “a che serve?“. Segue a ruota “che mi dà?“. A cascata, poi, un rutilare di “tesserino”, “quote da pagare“, “5 euro ad articolo”.
Ora, capiamoci: l’OdG ha responsabilità enormi nel proliferare del giornalistificio che ha trasformato la professione in una tragicomica (sull’argomento scripta manent e i miei sono copiosissimi). Ancora più responsabile è la politica, che in mezzo secolo non ha mai trovato il tempo, anzi la volontà reale, di riformare l’Ordine adeguandolo ai mutati tempi e necessità.
Ma dire che, siccome l’Ordine funziona male, va abolito, è come dire che il codice della strada e la polizia stradale vanno aboliti perchè nessuno rispetta nè fa rispettare i limiti di velocità.
Quella dei giornalisti e dell’informazione è una questione complessa e articolata su cui, piaccia o meno, anche oltre cinquant’anni di pregresso esercitano un peso notevole e lasciano un vissuto che non è possibile ignorare. Ridurre tutto, superficialmente, a faccende dialettiche o propagandistiche di casta, patentini, quote è, oltre che patetico, irresponsabile. Significa che non si sa nulla nè si è capito niente. Il che, se è un non giornalista a straparlarne a caso, ignorando i fondamentali del problema, è grave. Ed è gravissimo se a farlo è invece un giornalista, perchè è il primo dei sintomi del fatto che dell’OdG fanno parte soggetti che, in quanto digiuni dell’abc professionale, non dovrebbero farne parte.
La categoria dunque, venti di abolizione o meno, fa benissimo a interrogarsi sul proprio futuro. E farebbe bene a ripulirsi dal di dentro, cioè autoriducendosi a chi il giornalista non solo lo è (cosa indispensabile), ma anche lo fa e lo sa fare.
I perditempo dovrebbero invece astenersi, rimanendo diligentemente a guardare e, soprattutto, tacendo.
In fondo si parla di un ordine che, tra veri e farlocchi, conta oltre 110mila membri, dei quali almeno 30mila giornalisti “veri”, nel senso che il mestiere lo fanno o almeno lo conoscono davvero.
Dubito che il governo in carica, per quanto forse preconcettualmente o propagandisticamente ostile, abbia la forza, il coraggio o l’incoscienza di asfaltarci sic et simpliciter.
E, se ci provasse, dubito che ci riuscirebbe con facilità.

Tanto premesso, rivendico pure il diritto a difendere la sopravvivenza della mia professione.

O sembra troppo?