di CARLO MACCHI
Il Corzano 1993, Corzano e Paterno: dal ’91 al ’96 ci fu l’ultima “piccola glaciazione” cioè l’ultima serie di annate davvero “fresche”. In pratica, col clima di oggi, un gran vino come questo non si potrebbe fare.
Questa bottiglia, ritrovata in cantina con l’etichetta ridotta in queste condizioni, è stato un modo sia per ritornare indietro negli anni sia per confermare una mia teoria sul periodo dal 1991 al 1996, da me chiamato “ultima piccola glaciazione”.
Ma andiamo con ordine. La Fattoria di Corzano e Paterno, che si trova nl comune di San Casciano Val di Pesa, è famosa oramai da anni per il vino e i formaggi che produce. All’inizio deanni ’90 muoveva i primi passi in entrambi i settori e quello del vino era completamente in mano all’ora giovanissimo Aljoscha Goldschmidt.
Erano anni difficili per il Chianti Classico, figuratevi per chi non poteva fregiarsi della parola “Classico”: infatti Corzano e Paterno, pur essendo nel comune di San Casciano Val di Pesa, che fa parte del Chianti Classico, si trova sulle colline ad ovest della valle del fiume Pesa e così i suoi vigneti sono nel territorio del Chianti. Allora (e oggi non è molto diverso), anche se imbottigliavi dell’ottimo Chianti, se non avevi un Supertuscan nel mondo del vino di qualità non ti si filava nessuno.
Così arrivarono le vigne di Cabernet sauvignon e Merlot, che ancora oggi concorrono, assieme al Sangiovese, a creare Il Corzano (ultima annata in vendita il 2017).
Come ho accennato sopra, dopo la grande annata 1990 ci furono 5 o 6 vendemmie che definire “fresche” è un eufemismo e forse sono state le ultime annate veramente fresche degli ultimi 30 anni. Il mio amico Ernesto Gentili sta giustamente ragionando sullo “spostamento del nord”, cioè sulle caratteristiche climatiche che servono, ieri e oggi, per avere grandi vini longevi: questo vino è veramente esplicativo, è un qualcosa da tenere in considerazione per capire come è cambiata e sta cambiando la faccia dei grandi vini negli ultimi 30 anni.
Nel 1993 si andava inutilmente a ricercare rotondità, magari spacciata in bottiglia da un uso maccheronico del legno, mentre oggi si ricerca quella freschezza (non parlo solo di acidità, ma di pH bassi) che allora abbondava. Una freschezza che ha permesso a questo uvaggio (non chiedetemi le percentuali) di lasciarmi a bocca aperta per finezza e profondità gustativa e per armonica complessità olfattiva.
Un vino che dopo quasi 30 anni mostra ancora non solo freschezza ma una tannicità adesso vellutata pur ben presente. Sicuramente al naso il Cabernet sauvignon fa la parte del leone con note balsamiche, mentre il Sangiovese mostra la sua vena austera. Perfetta, adesso, la gestione del legno.
Per capire meglio il vino ho lasciato la bottiglia ammezzata per quasi due giorni ma il vino è solo migliorato, presentando al naso note di spezie che mancavano al primo appello e in bocca una linearità austera ma meno tagliente e decisa.
La frase “oggi vini così non si fanno più” deve essere vista alla lettera e cioè che con le attuali condizioni climatiche vini con questo pH, questa freschezza, questa verticale bonomia, è praticamente impossibile ripeterli.
Per fortuna ho scoperto che ne ho altre due bottiglie in cantina.
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