di LORENZO COLOMBO
Soave Classico Doc “Casette Foscarin” 2005 Monte Tondo: la classica bottiglia sulla quale non avevi grandi aspettative ma che, alla luce dei fatti, ti stupisce.

 

Per questa rubrica andiamo spesso a cercare bottiglie che nel corso degli anni si sono accumulate nella nostra cantina e delle quali a volte non ricordiamo più neppure l’esistenza.

E’ il caso di questo Soave, acquistato molto probabilmente durante una nostra visita presso la cantina Monte Tondo, della famiglia Magnabosco, e che attualmente rientra in una delle 33 UGA riconosciute al territorio del Soave, ma allora no.

Lo studio di zonazione del Soave, iniziato nel 1995, aveva portato all’individuazione di 14 sottozone basate su caratteristiche orografiche, climatiche e pedologiche. Da qui si era poi arrivati a 45 macrozone (39 delle quali all’interno del territorio del Soave Classico) e infine, nel 2019, alle 33 finali, 28 delle quali nella zona classica.

L’Azienda Monte Tondo non passa certamente inosservata, situato com’è a poche centinaia di metri dall’uscita autostradale Soave-San Bonifacio, in comune di Soave, nella parte più meridionale del territorio della Doc Soave Classico, dove si trovano anche i vigneti per la produzione del loro Soave Doc Monte Tondo.

La famiglia Magnabosco dispone in totale di una quarantina di ettari vitati, per una produzione annuale di circa 300.000 bottiglie.

I vigneti per la produzione del vino di cui stiamo parlando sono per il 90% a Garganega e per il 10% a Trebbiano di Soave, in Località Casette, sul Monte Foscarino. Qui i suoli vulcanici sono caratterizzati dalla presenza di basalto e vanno a conferire ai vini i tipici sentori minerali e sulfurei.
La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio, il vino viene quindi posto parte in barriques e parte in tonneaux usati dove sosta per sei-otto mesi, viene quindi assemblato e rimane in affinamento per altri quattro-cinque mesi in acciaio, segue un’ulteriore sosta di almeno sei mesi prima d’essere messo in commercio.

Diciamo che stavolta l’approccio alla bottiglia non è iniziato nel modo giusto. L’apertura non è stata delle più facili, il tappo si è dapprima spezzato in due e la parte rimanente all’interno del collo della bottiglia si è letteralmente sbriciolata: a nulla è valso neppure l’utilizzo del cavatappi a lamelle, abbiamo così dovuto filtrare tutto con un colino per eliminare ogni residuo di sughero e versarlo in un decanter.

A parte questo, il vino si presenta con un color giallo-oro luminoso, c’era da aspettarselo visto che sono passati quasi vent’anni dalla vendemmia.
Lo troviamo intenso al naso dove le note boisé ed i ricordi di legno, seppur affievoliti dal tempo, sono ancora presenti,  complesso, con sentori che vanno dallo zucchero vanigliato all’albicocca, dalla camomilla all’erba iva (Achillea Moschata), vi troviamo inoltre ananas maturo, pesca gialla, fiori secchi, accenni sulfurei e note minerali ed un quasi impercettibile sentore d’idrocarburi.
In bocca notiamo il suo buon corpo, la vena acida ancora ben presente, la sua nota sapida, confettura di pesca gialla, albicocca, mela cotogna, ananas e, nuovamente, leggeri ricordi di legno, lunghissima infine la sua persistenza.

In pratica la classica bottiglia sulla quale non avevi grandi aspettative ma che, alla luce dei fatti, ti stupisce.

 

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