di LUCIANO PIGNATARO
Campi Flegrei Piedirosso doc Tenuta Camaldoli 2011: arrivata per caso in una notte cilentana davanti ad un fusillo al ragù di castrato, il vino di Gerardo Vernazzaro ha retto benissimo al tempo.
L’unità di misura del fascino del vino è il tempo. C’è poco da fare, per gli appassionati e per gli esperti non c’è niente di più bello che viaggiare attraverso le verticali, oppure stappare qualche bottiglia vecchia conservata per l’occasione speciale o trovata per caso in un cassetto, in cantina, dietro un armadio. Come un vecchio libro di cui ti eri dimenticato.
Sul rosso il valore del tempo è abbastanza acquisito, sul bianco inizia ad essere un valore anche fra gli addetti ai lavori italiani. Il tempo è importante perché è veramente la linea di confine fra l’industriale e l’artigianale: nel primo caso si punta in ogni modo ad accelerare la produzione, nel secondo si dà all’oggetto la possibilità di prendersi cura di sè senza ansia di ritmi produttivi esasperati.
Ma cosa succede quando per una vita hai pensato che un vino da particolare vitigno non avesse bisogno di troppi anni per essere al massimo, al nadir della sua linea evolutiva e vieni poi contraddetto da una bottiglia tirata fuori da una cassettina di legno che avevi lasciato in un angolo? Succede l’ennesimo miracolo del vino, rimanere spiazzati e imparare nuove cose, perché poi è questo il fascino vero, il socratico sapere di non sapere. La persona colta usa condizionali e congiuntivi, l’ignorante l’imperativo e punti esclamativi.
Insomma, questo Piedirosso Tenuta Camaldoli 2011 come è stato? Per i giochi misteriosi della cabala, lo avevamo provato giusto dieci anni fa con molta curiosità perché si tratta della prima annata di questa etichetta. L’idea di Gerardo Vernazzaro è stata di riprendere ciò che di positivo c’era nella vinificazione del passato coniugandolo alle conoscenze moderne: un Piedirosso importante, con vigne affacciate su Agnano, le isole e la città di Napoli, dentro la città, su suolo tufaceo di proprietà di Cantonina Astroni. Così scrivevo nel 2014: “Vinificato in tino di ciliegio e affinato in legno di castagno usato in passato per la Falanghina Strione, poco più di mille bottiglie, il primo Tenuta Camaldoli ha il giusto bilanciamento tra l’esigenza di preservare i profumi e quella di avere un pizzico di struttura in più per una migliore stabilizzazione nel tempo. In queste prime battute il vino sembra aver centrato l’obiettivo, ma sarà il tempo a dirci se proprio questa è la strada da seguire”.
Bene, non immaginavo di aspettare tanto tempo, ma la prova è arrivata per caso in una notte cilentana davanti ad un buon fusillo al ragù di castrato. La prima notizia è che il vino ha retto benissimo, a cominciare dal tappo perfetto, ma già in passato avevamo fatto alcune verticali che si aveva dimostrato che il Piedirosso resiste al tempo se ben conservato anche se non può essere paragonato all’Aglianico per il quale dieci anni sono il tempo normale di attesa per lo stappo equilibrato.
Il vino ha conservato sentori di frutta fresca, ciliegia soprattutto, in una cornice fumé leggermente accentuata rispetto ai Piedirosso della zona più giovani. Non avendo problemi di tannini come l’Aglianico, la beva è stata piacevole, equilibrata con un allungo finale amarognolo molto gradevole ed efficace nel ripulire il palato. Ottima la freschezza che ha regalato al bicchiere una buona tonicità. Il messaggio che possiamo lasciare nella bottiglia svuotata è che se lo dimenticate potete goderlo lo stesso acquisendo un pizzico di complessità in più. Pensato per durare quattro, cinque anni, a tredici anni dalla vendemmia si è presentato compatto ed energico.
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