di ROBERTO GIULIANI
Pelago 1995 Umani Ronchi: se “marchigiano” in inglese fosse come “toscano”, questo sarebbe un “Supermarchigian”. Che però, assaggiato dopo 26 anni, sfata il mito della scarsa durata dei “superqualcosa“.
Se “marchigiano” fosse traducibile in inglese come “toscano”, potremmo chiamare il Pelago “Supermarchigian”, ma evidentemente questa regione non ha la stessa notorietà o, semplicemente, non è mai stato trovato un termine adeguato che riunisca in una sola parola quello reale di “from the Marche region”.
Pazienza, quello che conta è che di fatto questo vino nato nel 1994 è in qualche modo figlio dei “Supertuscans”, quei vini nati al di fuori dei disciplinari affinché i loro creatori fossero liberi di produrli nella massima libertà possibile, intesa come uve e legni utilizzati, come metodi di coltivazione e vinificazione ecc.
Sin dall’inizio, infatti, i tecnici della Umani Ronchi hanno voluto unire un’uva autoctona come il Montepulciano alle internazionali più note al mondo: Cabernet sauvignon e Merlot.
Non solo, ma in un’epoca che ormai aveva sdoganato i piccoli legni francesi, ecco che il vino viene fatto maturare in barrique nuove per 14 mesi.
E grazie alla spinta data dal premio ottenuto all’International Wine Challenge di Londra nel 1997, il Pelago era divenuto uno dei vini più quotati in quel periodo.
Oggi è ancora nella gamma aziendale, sempre 14 mesi in barrique, sempre un assemblaggio di quelle tre uve, segno che la formula era decisamente azzeccata e non ha perso smalto.
Ma, domandina che esce spesso nei social fra appassionati: i Supertuscans (e similari) sono capaci di durare nel tempo? E se sì, quanto? O sono solo vini per le guide, piacioni subito e spenti dopo pochi anni?
Bene, stappiamo questo 1995 (26 anni dalla vendemmia), seconda annata uscita, rigorosamente conservato in cantina condizionata a 12 gradi – a dirla tutta avevo aperto il 1996, sulla carta decisamente migliore, ma purtroppo l’odioso TCA lo ha rovinato – e vediamo come si presenta.
Intanto il tappo è in condizioni perfette, meglio di qualsiasi previsione possibile. Il colore è un granata intenso con unghia ancora piuttosto compatta, appena tendente all’aranciato-mattonato. Bene.
Veniamo al profumo. Intanto devo dire con stupore che appena aperto non ha dato segni evidenti di riduzione, come sarebbe stato lecito aspettarsi. Ottimo.
Entriamo nel vivo: una nota vegetale aleggia nella fase iniziale, poi si schiude a note di humus, cuoio, prugna secca, ematite, tabacco, grafite, terra umida. Col passare dei minuti si “rinfresca”, sembra ringiovanire sempre di più, la componente terziaria e matura regredisce a favore del frutto e di spezie dolci, ma nel complesso il vino sta più che bene, non si spegne, continua a muoversi.
L’assaggio è rincuorante, l’acidità c’è ancora ed evita prevedibili derive surmature, il profilo è equilibratissimo, sapido, avvolgente, non cede, se devo fare un’osservazione è nell’eleganza, che non è il suo punto di forza, ma caspita, è buonissimo e alla cieca non gli daresti più di 8 anni!
Bene, in questo caso, abbiamo sfatato alcuni luoghi comuni…
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