di STEFANO TESI
Brunello di Montalcino 2003 Donatella Cinelli Colombini: tra epoca storica, annata torrida, aspettative e vecchie note, erano tanti i motivi per riassaggiare questo vino dopo quasi vent’anni. Esame superato.
Nel mondo del vino italiano, e non, Donatella Cinelli Colombini è nota per una intraprendenza e una determinazione che nel tempo le hanno consentito non solo di farsi largo con le proprie aziende sul mercato e nei giudizi della critica specializzata, ma anche di aprire vie nuove e pionieristiche, prima del tutto sconosciute, come la fondazione del Movimento del turismo del vino, del quale è ormai una sorta di ambasciatrice e di portavoce a trecentosessanta gradi. Nonché di rilanciare organismi come le Donne del vino, l’associazione di enologia al femminile più grande del pianeta, di cui Donatella è attualmente presidente. Brillanti e innovative, spesso, pure le sue idee in materia di marketing, capace di dar vita a un modello oggi molto emulato dalle nuove generazioni.
Chi la conosce da molto tempo, come chi scrive, è però ben al corrente anche delle tante difficoltà e degli ostacoli che hanno disseminato il suo cammino, mettendo in luce una virtù meno nota: il coraggio di cambiare, assecondando le proprie intuizioni.
Un percorso cominciato nel 1993, dopo il distacco dall’azienda di famiglia, e proseguito per quasi un decennio con quelli che Donatella definisce i suoi “anni eroici”, conclusisi con l’arrivo in cantina di Carlo Ferrini, rimasto fino al 2009 per lasciare poi il posto a Valerie Lavigne, l’enologa tuttora in sella.
Uscì proprio dalle mani di Ferrini il Brunello di Montalcino 2003 che ho avuto recentemente modo di assaggiare.
L’opportunità mi incuriosiva moltissimo, per molte ragioni. Vedere quanto restava della mano dell’enologo, considerato il periodo storico. L’annata difficile, forse la più torrida di sempre, con una vendemmia fatta a cavallo tra settembre e ottobre. Alcune mie vecchie note di un assaggio di una decina di anni fa. E l’effettiva capacità di invecchiamento del vino, che le schede aziendali indicavano in vent’anni e oltre.
All’aspetto è di un colore rubino-granato scuro, compatto, con qualche accenno aranciato. Al naso è importante, quasi solenne, certamente non croccante ma profondo ed integro, ancora vivo, con note di prugna, ribes, un accenno di cacao e di tabacco, sottobosco e qualcosa di balsamico. In bocca è ricco e sorprende per vitalità e asciuttezza, con una rotondità un po’ neghittosa che dà nerbo e tensione.
In definitiva un Brunello equilibrato, suadente e perfino godibile, che sinceramente pensavo di trovare molto più evoluto e stanco. Me l’immagino a lungo sorseggiato su un bell’agnello arrosto durante un pranzo natalizio, o un accigliato, ruvido e profumato pecorino delle Crete Senesi bello stagionato.
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