di URANO CUPISTI
Occhio a partire cullando troppo le suggestioni: cronistoria di un viaggio polinesiano, da Tahiti a Fakarawa passato, fin da casa, a schivare i guasti del turismo di massa. Già nel 2002.

 

La pittura di Paul Gauguin mi aveva sempre affascinato e i suoi dipinti “polinesiani” mi rapirono fin da adolescente. Anche quelli di Henri-Émile-Benoît Matisse, di epoca più recente, che nel suo breve viaggio a Tahiti (solo tre mesi) fu colpito dalle infinite sfumature di blu di una particolare laguna, quella dell’isola di Fakarawa, nell’arcipelago delle Tuamotu.
Di fronte a tanta bellezza e colori, Gauguin ebbe a dire che tutto era stato creato per rendere libero l’uomo. Sappiamo che proprio quel viaggio dell’artista francese diede vita ad una nuova fase nel suo percorso artistico, il cosiddetto blu di Matisse.
E quella era la mia meta, lì volevo arrivare: vivere una sensazione di libertà di fronte alle intense tonalità di blu, sentimento come terapia visiva!
L’Arcipelago, però, ormai lo sapevo molto “vacanziero” e di ripetere l’esperienza delle Hawaii di alcuni anni prima, francamente, non me la sentivo. Io volevo proprio vivere le emozioni di Gaugain e Matisse, tuffarmi nelle loro tele polinesiane, vivere i paradisi sospesi tra terra e cielo.
Preparare il viaggio non fu poi cosa facile, perché tutte le linee aeree facevano riferimento alla capitale di Tahiti: Papeete. Ero a conoscenza che, all’arrivo in aeroporto, avrei dovuto subire la foto con la collana di fiori ed ascoltare la languida musica uscita da cordofoni meglio conosciuti come ukulele.
Poiché Papeete non sarei riuscito ad evitarla, decisi per una proposta della Swiss Air che mi avrebbe fatto raggiungere Tahiti senza subire la compagnia degli “americani con le loro camicie a fiori”, le ciabatte infradito, i bermuda e il loro profumo di Tiarè “preindossato” ancor prima di arrivare, che in massa sarebbero saliti a Los Angeles.
Accettai senza alcun indugio e ripensamento: tratta Zurigo – Buenos Aires – Santiago del Cile. Cambio di aereo e, con la linea cilena Lan Chile, raggiungere Papeete via Isola di Pasqua.
Isola di Pasqua?
Ma sì, come no. Stop di tre giorni all’andata e cinque giorni al ritorno. Un altro sogno che stava per avverarsi. Mettere piede sull’ombelico del mondo.
Ma ritorniamo alle Isole della Società e all’arcipelago delle Tuamotu.
Papeete, capitale delle Terre d’Oltremare Francesi, mi accolse così come avevo immaginato. Non mancò in niente. Collana, foto, ukulele, strattoni dei “multilingue locali” per accapararsi il “turista”, opuscoli patinati con i resort dalle foto accattivanti che inevitabilmente ti mettevano in mano.
Insomma una “vera lotta di sopravvivenza” per uscire dall’aeroporto. Riuscii alla fine a “sfuggire” da quella accoglienza turistica e a raggiungere, in un traffico forsennato, la mia locanda “tahitiana” scelta per una notte.
Certo Tahiti non si presentò (e anche di questo ero già a conoscenza) come la mitica isola dei viaggiatori d’un tempo, alla ricerca dell’esotico, della bellezza dei luoghi. All’ombra delle palme da cocco erano arrivati da tempo i jet mastodontici e il caos automobilistico, cogli alberghi piantati nei punti più suggestivi. E poi i supermercati con i turisti spendaccioni.

Capii subito, quindi, che il mito del paradiso lontano era da ricercare altrove, nelle Isole di Sopravvento con Moorea, Maiao e Mehetia e nelle Isole di Sottovento.
Optai per le seconde e quindi per Moorea, Huahine, Raiatea e Bora Bora, che risultarono immerse in un caleidoscopio di giada e sfumature blu tendente al turchese. Cime con aureole di nubi, vallate ricoperte da felci giganti lussureggianti di verde, cascate che alimentano piccole lagune interne. Ahimè anche innumerevoli tricicli a motore con i turisti “dalle camicie con i fiori”, che mi riportarono alla realtà interrompendo il sogno alla James Cook. E l’assenza delle tahitiane così come rappresentate nelle tele di Gauguin.
Dovevo fuggire se pur con una nota di tristezza. Dovevo cercare quel paradiso uscito dai diari di bordo del capitano James , sperando di ritrovare anche le “tahitiane” di Gouguin nella nuova meta. Dovevo tuffarmi negli azzurri tendenti ai celesti di Matisse e visitare i luoghi della sua esperienza polinesiana. Ero arrivato a Fakarawa, nell’arcipelago delle Tuamotu (continua)