Tra ieri e oggi, in mezza giornata, due colleghi toscani sono scomparsi per un malore: Marco Norcini e Emiliano Liuzzi. Ci conoscevamo senza essere amici, ma condividevamo età e un mestiere, spesso, bianciardamente “agro“.

Questo post non sembri un’autocelebrazione in chiave eroica: non lo è.
Non so nemmeno quanto fosse veritiero il vecchio adagio che circolava tra i colleghi quando, trent’anni fa, cominciai la mia carriera: in Italia, si diceva, il tasso più alto di divorzi e di infarti si registra tra i giornalisti.
Erano altri tempi, forse. Imperversavano le sigarette, lo stile di vita era quello definito “sedentario“, i pasti irregolari, le nottate in redazione, la mancanza di orari facevano il resto. Ulcere, insonnie, rabbie covate per vite intere, scariche di adrenalina, lunghe inerzie alternate ad allarmi forsennati. Il sovrappeso, nessuna attività fisica, i superalcolici.
Era un’esistenza certamente poco sana e, come l’avrebbe definita Bianciardi, parecchio “agra” quella del giornalista.
Poi se n’è parlato sempre meno, il nostro è diventato un mestiere di moda che tutti aspirano a fare, drogato di apparire e che, quasi senza filtri, ormai accoglie pressochè tutti. Millantatori compresi.
E’ nato il web, ci sono i telefonini, si passano le giornate attaccati ai social, a whatsapp, alle news on line, diventate le fonti primarie di notizie.
Tutto più facile, tutto più banale?
Mah: in mezza giornata due colleghi più o meno della mia generazione se ne sono andati.
Tutti e due per infarto, tutti e due toscani. Marco Norcini, senese già al Giornale della Toscana, e Emiliano Liuzzi, livornese del Fatto Quotidiano. Cinquantuno anni l’uno, quarantasei l’altro. Fulminati e via. Nel 1971, quando morì, Bianciardi ne aveva quarantanove.
Coi coetanei ci conoscevamo, ovviamente, anche se non eravamo amici veri e propri. Ci eravamo incrociati, avevamo parlato tante volte e condiviso i soliti problemi della categoria. Giornalisti e coetanei che, come me e tanti altri, si erano scontrati con un mestiere divoratore e spesso ingrato.
Ovvio quindi che notizie come queste dispiacciano e feriscano.
A loro va il mio sommesso ricordo e a tutti gli altri l’invito a far sì che questa professione, per come si è evoluta, o noi cambiamo lei o lei ammazza noi. E senza darci nulla in cambio.
E proprio oggi si inaugura il Festival del Giornalismo di Perugia 2016.
Chissà se se ne parlerà.